L’uomo che sapeva amare. Capitolo 10: Sabrina, il ritorno

Contiene scene di sesso esplicito, si sconsiglia la lettura ai minori.

La relazione con Valeria divenne stabile quasi da subito. Prima ancora che a letto, o sul divano, la complementarietà era nata sul lavoro e gli aveva permesso di conoscersi e stimarsi senza implicazioni sessuali. Ora che avevano infranto la barriera dell’eros, erano diventati una coppia forte ed affiatata. Impiegarono più tempo a cercare una casa che a decidere di vivere insieme. Nessuno dei due voleva che l’altro vivesse in un appartamento che ricordasse la loro vita prima che si incontrassero, per cui decisero di cominciare come due giovani sposini che costruiscono insieme il loro nido d’amore. L’anno successivo sarebbero arrivati anche i figli, due gemelli, Davide e Gloria, che rispondevano in maniera imprevista alla domanda comune “preferite maschietto o femminuccia?”. In fin dei conti, se un suicidio segna il fallimento di una vita, questa volta aveva contribuito a creare una famiglia.

Lui non esitò neanche un istante a lasciare il suo lavoro: se non fosse bastata Sandra a farglielo mettere in discussione, Valeria rendeva superflua qualunque altra donna. Non doveva più fare un puzzle umano per soddisfare le sue esigenze affettive e sessuali, era realizzato e soddisfatto e sentiva che non aveva più nulla da offrire alle sue clienti. O, almeno, così credeva. Sabrina gli fece cambiare idea quando lo contattò, qualche mese dopo, con una proposta indecente che gli sembrò l’uovo di Colombo, nonostante ignorasse cosa questo significasse. La questione era abbastanza semplice: dopo aver appurato che, sì, lui faceva video matrimoniali, due vite fa, e sì, era serio quando parlava di farsi pagare per il sesso, e dopo aver ribadito che non avrebbe tradito il marito, unì le tre notizie nella domanda:

“Saresti disposto a riprenderci mentre scopiamo?”

Avevano provato, con Mario, a riprendersi da soli ma, se mettevano la videocamera su un mobile, le riprese erano statiche e da lontano mentre, se la tenevano in mano, le riprese erano parziali, mosse e chi le faceva era distratto e godeva di meno. L’unica soluzione era farle fare ad un altro, ma chi? Fu lei a pensare a lui, anche perché aveva riletto la loro chat erotica molte volte, auto-compiacendosi con le sue parole, e ricordava bene i suoi occhi sul suo corpo: sarebbe stato l’ennesimo gioco perverso in cui lui poteva guardare ma non toccare. Contemporaneamente, però, intuiva che le stesse cose sarebbero state perfette anche per un film porno, ché il cinema non è altro che una fantasia di sguardi, un gioco fra attori esibizionisti e spettatori guardoni in cui il regista, esibendo le sue visioni, ricopre entrambi i ruoli. Convincere Mario si rivelò più facile del previsto. Forse per l’orgoglio virile di mostrare agli altri le sue doti amatoriali, o forse perché voleva rendere chiaro che quella donna bellissima era la sua donna, sta di fatto che accettò con sorprendente entusiasmo. L’unico che dovette prendersi del tempo per decidere era lui: doveva parlarne prima con Valeria. Non avevano avuto occasione di discutere dell’impatto del suo lavoro sulla loro coppia, perché aveva smesso prima che andassero a vivere insieme, senza che lei glielo chiedesse, quindi affrontò l’argomento prendendolo un po’ alla larga.

“Ti piace il cinema? Sai che all’università sognavo di fare il regista? Facciamo un gioco mentale: se io girassi dei film, saresti gelosa delle attrici o ti fideresti del mio amore smisurato per te?”

La chiosa finale era un’evidente captatio benevolontiae che la insospettì più di quanto avrebbe dovuto bendisporla.

“Che hai in mente? Cosa devi dirmi?”

Questo tipo di domande, questa sua capacità di andare oltre le semplici parole, che la rendevano particolarmente apprezzata nel suo lavoro, era il motivo per cui si era innamorato di lei. Adesso non poteva far altro che sperare che con lui fosse comprensiva come con i pazienti, anche se non avrebbe mai voluto essere trattato come tale ma come compagno con cui parlare di loro, semmai. Si fece coraggio e le raccontò tutto. Il pragmatismo della donna incinta, tutta rivolta ad assicurare un nido sicuro e accogliente alla cucciolata, si rivelò subito:

“Quanto ti pagano?”

Diede anche sfoggio di lungimiranza, quando aggiunse:

“Sai che è un servizio che potrebbe avere un mercato vastissimo? Non si tratta del classico esibizionismo, di cui si occupano un sacco di siti, ma della possibilità di godere privatamente di riprese professionali. Hai già pensato a come farti conoscere e creare un portafoglio clienti?”

La abbracciò con gli occhi umidi, non gli era mai capitato di sentirsi così sostenuto, casomai aveva dovuto affrontare possessività e gelosie immotivate. In questo caso, la gelosia non poteva avere spazio: aveva avuto moltissime donne, spesso ricche e belle, ma aveva scelto lei e non loro. Adesso che non doveva vendergli qualche ora di amore, ma solamente testimoniare quello che provavano per i loro partner, non aveva alcun motivo per essere insicura. E, poi, alcune di quelle donne gliele aveva presentate lei, sarebbe stata ipocrita se avesse avuto problemi al riguardo ed era troppo orgogliosa per esserlo. Piuttosto, lo aiutò a mettere a punto un nuovo protocollo adatto alla circostanza. La questione principale era tranquillizzare le coppie sulla non diffusione delle immagini, per cui decisero che, prima di andarsene, avrebbe consegnato loro le schede con il filmato originale. Il pagamento, invece, sarebbe stato anticipato, visto che non c’era rischio di coinvolgimento emotivo. L’unica richiesta fatta sarebbe stata di essere citato come autore delle riprese, in caso le avessero messe online o fatte vedere ad altri, cosi che potesse essere contattato anche da altre coppie, un po’ di pubblicità presso altri eventuali clienti, insomma.

Quando gli aprirono la porta, Sabrina e Mario rimasero interdetti dalla quantità di attrezzature che aveva portato con sé: cavalletti, stativi, lampade, ombrelli, riflessi, una valigetta con le prolunghe e gli attrezzi utili e la tracolla con la videocamera. Pensavano a qualcosa di più intimo e discreto, nelle loro fantasie, e invece si ritrovarono in un set cinematografico vero e proprio. Non avevano considerato che questa era la differenza fra riprese amatoriali e professionali. Ci mise pochi minuti a rendere la camera da letto priva di zone d’ombra, nel frattempo i due attori si prepararono al loro esordio.

Sabrina, con un body strappy rosso con dei fili che, partendo dalla corda centrale che univa le coppe aperte alle mutandine, le giravano sul costato e si univano al retro del reggiseno, entrò per prima nella stanza. Passandogli accanto, gli sussurrò in un orecchio:

“L’ho messo per te”

E gli strizzò maliziosamente l’occhio. Il seno, che già di suo sfidava la gravità, sostenuto dalle semi-coppe puntava ancora di più verso l’alto, con i capezzoli turgidi che sembravano dei cazzetti dritti verso il soffitto. Gli disse di cominciare a riprendere, si distese sul letto e, guardando dritto in camera, iniziò a toccarsi prima il seno e poi fra le gambe. Le mutandine si rivelarono con uno spacco centrale che lei dilatò bene, mostrandogli la fica spalancata e bagnata. Si avvicinò con la videocamera fino a riempire lo schermo con il suo sesso voglioso, mentre le dita continuavano a stimolare il clitoride e ad entrare ed uscire dalla vagina. L’obiettivo salì lentamente lungo tutto il corpo, fino ad arrivare al viso per coglierne l’espressione godente. Le era quasi sopra e lei non smetteva di fissarlo come se fosse lui l’oggetto delle sue fantasie masturbatorie, e forse era realmente così. Un rumore le fece girare la testa verso la porta e lui inquadrò nella direzione del suo sguardo. Un uomo, interamente vestito di pelle nera e con un passamontagna, anch’esso nero, che lasciava scoperti solo gli occhi e la bocca, si stagliò fra gli stipiti.

“Chi sei? Che vuoi? Ti prego, non farmi del male, ti darò tutto quello che vuoi…”

Disse spaventata. Non lo avevano avvisato che avrebbe dovuto filmare un gioco di ruolo, ma non si scompose e continuò a riprendere. L’uomo avanzò verso di lei facendole segno, con un dito davanti le labbra, di stare zitta. Salì sul letto e si avvicinò come per baciarla, invece le bloccò le braccia con le gambe e le legò i polsi alla testiera. La guardò negli occhi da pochi centimetri di distanza, ognuno respirava l’aria dell’altro, le labbra si sfioravano. Le mise una mano fra le gambe e le afferrò vigorosamente la fica, la baciò sul collo e le infilò la lingua in un orecchio, facendole provare un brivido ed un tremore che la spinsero ad agitarsi per farlo smettere, senza riuscirci, poi passò a leccarle l’ascella depilata, infine la bocca scese fino ad un capezzolo ma si fermò a meno di un millimetro facendole nuovamente provare quella sensazione mista di piacere, desiderio e solletico. All’improvviso lo mordicchiò, facendole scappare un urletto di sorpresa e dolore. Lui continuava a filmare da vicino, seguendo la bocca lungo il corpo di Sabrina. Erano solo dettagli stretti, pezzi di corpo che riempivano l’inquadratura come una macro su un insetto che sugge un fiore. Non aveva bisogno di stare attaccato al mirino, controllava le immagini dal display esterno, e la maggior parte del tempo la sua attenzione era catturata dalle occhiate sensuali che lei gli lanciava mentre veniva stimolata dall’uomo nero. Sembrava quasi che le riprese, anziché un gioco fra lei e il marito, fossero un gioco fra loro due. Mentre quello che dava per scontato essere Mario affondava la faccia mascherata nella sua vagina, lei si passava la lingua sulle labbra senza distogliere lo sguardo da lui o dall’occhio elettronico quando veniva inquadrata. Pensò a quanto avrebbe voluto riempirle quella bocca con il suo cazzo, che nel frattempo si era indurito dentro i calzoni, ma aveva fatto una promessa a Valeria e non voleva infrangerla, per quanto fosse arduo resistere alla tentazione di quelle labbra rosse di desiderio e di quella lingua così lunga e flessibile che le inumidiva voluttuosamente. Se avesse avuto le mani libere glielo avrebbe di certo tirato fuori ma, si disse, per fortuna era legata. Per distrarsi da certi pensieri, come se fosse possibile, tornò ad inquadrare la lingua che sbucava dal nero ed entrava nel rosso. L’uomo senza volto la afferrò dai fianchi e la fece girare, mettendola carponi, a faccia in giù e con le mani ancora legate al letto. La schiena disegnava un arco che rendeva ancora più rotondo e sexy il suo sedere, perfetto come il seno. Era veramente di una bellezza fuori dal comune, erotica in ogni centimetro del suo corpo. Le divaricò le chiappe e fece nuovamente sparire il suo viso e la sua lingua fra le sue cosce. Anche se aveva gli occhi chiusi, la testa di Sabrina era comunque rivolta nella sua direzione e lui ne approfittò per registrare quel momento di totale abbandono e piacere. Era stato assunto per immortalare il loro amplesso, il piacere che si davano reciprocamente marito e moglie, e finalmente poteva farlo senza sentirsi coinvolto. Quando Sabrina raggiunse il picco di piacere, Mario (o quello che lo interpretava sotto la maschera) fece scattare i bottoni che tenevano chiusa la patta a forma di tasca che aveva sull’inguine e scopri il suo membro gonfio. Se lo masturbò alcuni secondi per portarlo alla massima consistenza poi, con gesto rapido, lo sostituì alla lingua, senza preavviso. Ora Sabrina gemeva sempre più forte, mentre i colpi decisi e ritmici glielo infilavano dentro facendo schioccare le sue chiappe. La reggeva per i fianchi ed ogni affondo aveva il suo grido di piacere come contrafforte.

“Siiii, dammelo fino in fondo, dammelo tutto!”

Il primo piano di lei che, ad occhi chiusi, implorava di essere sfondata fu, probabilmente, la cosa migliore che avesse mai filmato. Il dettaglio delle mani che stringevano le lenzuola, con il sottofondo dei suoi versi d’amore, era carico di inteso erotismo anche senza mostrare alcuna nudità. Si portò alle spalle dell’uomo, che probabilmente era Mario, e si inginocchiò per riprendere dal basso, in mezzo alle gambe, la fica che si divorava quel cazzo possente. Le labbra lo avvolgevano tutto e si sarebbe detto che non fosse lui a sbatterla, ma lei a risucchiarlo e a rilasciarlo. Le chiappe erano diventate rosse per gli schiaffi, si potevano distinguere nettamente le cinque dita, e ad ogni schiaffo lei provava sempre più piacere. Si fermò, dal fotterla e dallo sculacciarla, solo quando lei, ormai venuta, abbassò il sedere e lo fece uscire prima che venisse anche lui.

“Slegami, voglio salirti sopra.”

Il gioco non era ancora finito, lei non era ancora sazia. Mario, o chi per lui, le sciolse le mani e lei, come una pantera, lo afferrò per le spalle e lo girò, inchiodandolo al materasso con il peso del suo corpo e bloccandogli le braccia con le sue gambe come aveva fatto lui in precedenza. Era un gioco di potere evidente. Si sedette con la fica sulla sua faccia e lo costrinse a leccargliela. Si strusciava e si dimenava avanti e indietro sfregando il clitoride contro il suo volto, dal mento al naso e ritorno. Era lui ad avere, letteralmente, un pezzo di fica in bocca, ma era lei quella affamata. Lentamente fece scorrere la fica verso il basso, lasciando una scia umida sul petto di pelle nera. Si fece passare il cazzo fra le labbra, dandogli l’illusione di poterlo già affondare nella sua caverna, ma continuò a scendere finché non lo ebbe a portata di bocca. Lo stuzzicò un po’ con lingua per farglielo diventare ancora più duro e grosso, poi lo fece sparire nella sua bocca fino a sentirselo in gola, il labbro che poggiava sulle palle e che quasi risucchiava anche quelle. Lui le tenette la testa ferma con entrambe le mani e cominciò a muovere il bacino per scoparla. Ogni tanto Sabrina faceva colare fuori la saliva in eccesso, poi riprendeva fiato e ricominciava a farsi fottere come se avesse avuto anche lei il clitoride in gola. Ora le sue guance erano rosse come le chiappe schiaffeggiate, il viso imperlato di sudore. Lui le chiuse il naso stringendolo fra due dita. Rossore e sudore aumentavano, così come l’eccitazione. Dopo qualche secondo la fece respirare, per poi negarle di nuovo l’ossigeno. Lo fece altre quattro o cinque volte, le avrebbero contate con più precisione solo rivedendo il filmato, prima di lasciarla libera di muoversi. Lei si alzò, lo afferrò per le gambe e lo tirò finché il bacino non raggiunse il bordo del letto. Lui provò a tirare su il busto per mettersi a sedere, ma lei gli diede una spinta sul petto con il piede e lo rimise giù. Gli salì sopra, dandogli le spalle, si puntellò al materasso con le braccia dietro la schiena e mise i suoi piedi sulle cosce coperte di pelle nera. Era in equilibrio sopra il cazzo duro, se lo strusciò fra le cosce senza scendere mai abbastanza per farlo entrare. La stava riprendendo frontalmente, aveva davanti ai suoi occhi e a quello della videocamera Sabrina con le gambe e la fica spalancate che lo guardava sorniona e beata del suo potere assoluto su due uomini contemporaneamente. Si sputò su una mano e lubrificò con la saliva la mazza sotto di lei, poi fece l’occhiolino nella direzione dell’obiettivo e dell’operatore, e se lo infilò nel culo. La mano rimase a giocare con la fica, le dita la aprivano come per mostrargliela meglio, forse per offrirgliela o per chiedergli di riempirla. Lui si avvicinò fino ad occupare tutto lo spazio dell’inquadratura con quell’antro tanto desiderato e al quale aveva promesso di rinunciare, almeno per oggi. In futuro avrebbe potuto ridiscutere i termini del suo accordo con Valeria e, magari, avrebbe partecipato anche lei alle prossime riprese. Ma ora poteva solo canticchiarsi nella testa You can look (but you better not touch) di Springsteen nella speranza di distrarsi e dimenticare l’irrefrenabile desiderio di riempirla prima di lingua e poi di cazzo. Lei continuava a provocarlo, leccandosi le dita con i suoi umori, strofinandosele sulle labbra per poi rinfilarsele dentro. I movimenti del bacino erano mirati a massimizzare l’effetto del palmo sul clitoride, delle dita nella vagina e del palo nel culo. Mario, o quello che si spacciava per Mario, la sosteneva con le mani sui reni e la aiutava nel movimento verticale del bacino. Era riuscito a tenerla ad una distanza tale che gli permettesse di muoversi al suo posto ma, dopo un tentativo di prendere il controllo dell’azione, lei era scesa con tutto il suo peso ed aveva ribadito chi era a guidare il gioco. Lui era solo un fallo con il quale si stava masturbando e non tollerava che prendesse delle iniziative. Anche perché era sempre più evidente che stava fantasticando sul cazzo ben chiuso nei pantaloni che aveva davanti a sé, e chissà se l’idea dell’uomo nero senza volto non era venuta proprio a lei per facilitarle la trasposizione dall’uomo che aveva a quello che desiderava ma non poteva avere. In ogni caso, di chiunque fosse la verga che le riempiva il culo, sua, di Mario o di un anonimo figurante, stava decisamente raggiungendo lo scopo che si era prefissata e squirtò in primissimo piano, bagnando videocamera e operatore. Turbato come se fosse venuto anche lui, si leccò le gocce di piacere che gli raggiunsero la bocca poi, con un dito, raccolse quelle che si erano sparse sul resto del viso e succhiò anche quelle. Non era mai riuscito a toccarla, ma adesso conosceva il suo sapore. Ora era venuto il momento di far venire anche lo scopatore mascherato. Si sdraiò a pancia in su, con la testa reclinata all’indietro che sporgeva oltre il materasso così da prendere meglio, e più a fondo, il cazzo che le avrebbe riempito la gola con tutto lo sperma che gli aveva fatto trattenere finora. Per riprendere la scena nell’interezza, salì sul letto anche lui e si inginocchiò sui cuscini. Lei se ne accorse e spalancò le gambe e ricominciò a giocare con le dita. La sua faccia era sparita fra le gambe vestite di pelle nera, ma le sue tette meravigliose erano lì per lui e lei, con la mano libera, se le strizzava e torceva mentre si allargava la fica per fargliela vedere bene. Intanto l’uomo in pelle nera le scopava la bocca con grande passione, talmente grande che impiegò pochi minuti a riempirle prima la gola, e poi i seni e la pancia fino all’ombelico, del suo denso liquido bianco. Stavolta si tenne a debita distanza e né l’obiettivo né lui vennero colpiti dallo schizzo virile.

Le riprese erano terminate, i due attori lasciarono la stanza. Lui, benché fosse rimasto vestito e non avesse partecipato all’azione, si sentiva stropicciato come le lenzuola del letto. Dopo una decina di minuti tornarono Mario e Sabrina, lavati e vestiti come per uscire.

“Allora, com’è andata?”

La domanda di Mario lo lasciò nuovamente perplesso. È lui che si è scopato quella gran ficona assatanata di Sabrina e gli chiede come è andata? O non era lui? Ripensandoci, non era sicuro che Sabrina avesse parlato di farsi riprendere mentre lo faceva con Mario, forse lo aveva dedotto lui. Non osava fare domande imbarazzanti, anche perché era evidente che Mario, seppure non avesse partecipato, era di sicuro al corrente della situazione, visto che aveva fatto quella domanda. Si limitò ad un laconico

“Bene, credo, me lo direte voi quando rivedrete il girato…”

Rifiutò tutte le bevande che gli offrirono e se ne andò via appena le regole non scritte della cortesia glielo permisero, non un secondo più tardi. Aveva fretta di tornare a casa da Valeria, voleva raccontarle tutto e fare l’amore con lei con dolcezza. Ne aveva avuto abbastanza di stranezze e cose estreme, per oggi. Voleva solo perdersi nel suo abbraccio avvolgente, nella sua tenera intimità. Era stanco di giochi e giochini, espliciti o sottintesi, voleva un po’ di normalità, di affetto, di tenerezze reciproche e di sentirsi desiderato dalla donna che desiderava più di ogni altra. Stava già pregustandosi la serata a lume di candela e musica jazz di sottofondo e non si accorse, né avrebbe potuto farlo, che l’autista del camion che veniva dalla strada laterale non aveva visto il semaforo rosso perché aveva avuto un infarto e stava perdendo i sensi. L’impatto lo colse alla sprovvista, non riuscì a fare nulla per evitarlo. La macchina si ribaltò più volte su se stessa fino a fermarsi contro un pilone della luce che la fece quasi spezzare in due. Morì sognando di fare l’amore con Valeria, pensando all’amore che provava per lei. Morì, perché nessuna buona azione resta impunita.



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