L’uomo che sapeva amare. Capitolo 9: Valeria

Contiene scene di sesso esplicito, si sconsiglia la lettura ai minori.

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Ho bisogno di vederti.”

“Per motivi professionali o personali?”

“Entrambi.”

“Va bene una cena o vuoi un appuntamento?”

“Entrambi.”

“Che succede?”

“Ho bisogno di coccole e parole.”

“Tu? Stai bene? Che è successo?”

“Una mia cliente si è suicidata poco dopo esserci salutati.”

“Cazzo. Mi dispiace. Se vuoi, puoi venire alle 19 allo studio. Chiacchieriamo e poi mi porti a cena. Mi piace l’idea di sfoggiare un fustacchione al mio fianco…”

“Allora mi vesto bene, non vorrei farti sfigurare! Poi, farmi vedere con una donna bella e intelligente è un’ottima pubblicità anche per me…”

Aveva saputo della morte di Sandra solo domenica, leggendo il giornale mentre faceva colazione: non erano molte le capitane d’industria e lei era fra le più apprezzate e popolari, anche se non aveva mai dato spazio ai pettegolezzi nonostante la sua indipendenza, forse proprio per questo. Aveva aspettato tre giorni, prima di scrivere a Valeria, tre giorni che aveva passato in casa, inebetito davanti al televisore senza riuscire a seguire nessun programma. La testa gli ronzava vuota, i pensieri fuggivano in tutte le direzioni inseguiti dal senso di colpa per non aver visto quello che, ora, era evidente. L’unica cosa che era riuscito a fare, in quei giorni, era ripercorrere ogni istante del loro ultimo incontro. Ogni gesto e ogni parola, adesso, avevano un significato diverso e si accusava di non essersene accorto prima, di non aver compreso la sua richiesta d’aiuto. Doveva assolutamente confrontarsi con qualcuno e Valeria era perfetta: non solo non era una sua cliente, non erano neanche mai andati a letto, ma, grazie alle loro collaborazioni professionali, era quella che lo conosceva meglio e che sapeva con quale intensità si donava alle sue clienti. La scelta si confermò giusta, le bastarono poche parole per spiegargli che Sandra aveva già deciso tutto prima ancora di prendere appuntamento con lui, che aveva organizzato la serata come ultima cosa piacevole prima di andarsene. Probabilmente, la sua decisione di fermarsi per la notte le aveva allungato la vita di dodici ore. Le aveva regalato un po’ di amore, l’ultimo perfetto saluto che poteva darle.

“La amavi? L’avresti sposata? Eri disposto a rinunciare alla tua vita per vivere con lei? Non credo. Quella era l’unica cosa che l’avrebbe salvata, ma non eri la persona giusta, non toccava a te. Forse non toccava a nessuno, probabilmente era ancora innamorata dell’unico uomo che voleva passare la sua vita con lei ma non ne ha avuto il tempo. Dovrei curarle, le persone come lei, ma umanamente non posso che comprenderla. Non sempre le nostre migliori intenzioni vengono ripagate, a volte le cose vanno male nonostante i nostri sforzi, lo sai bene. A lei sono andate male tutte le cose in cui credeva, puoi biasimare il suo scoramento? Sandra non era una ragazzina emotiva, era una donna matura che ha preso una decisione: non ti ha chiesto aiuto, non voleva essere salvata, desiderava solo compagnia nelle ultime ore e tu gliel’hai data, più di quanto chiedesse. Dovresti essere felice che abbia scelto te e, allo stesso tempo, ti dovrebbe far capire quanto fosse sola se non aveva nessun altro da chiamare. Non potevi fare più di quel che hai fatto perché non te lo avrebbe permesso, devi accettarlo e niente altro.”

Gli si era seduta accanto sul divano e gli teneva le mani, mentre parlava guardandolo negli occhi che lui teneva bassi. Quando alzò il viso, le lacrime scendevano silenziosamente lungo le guance. La baciò, o almeno cercò di farlo. Valeria sapeva troppo bene che in quel momento avrebbe baciato chiunque si fosse trovato davanti, anche un cammello.

“Non ora. Adesso sei sconvolto, non sei lucido e non è me che vuoi ma essere consolato. Vieni, fatti abbracciare.”

Senza dire una parola, si abbandonò fra le sue braccia lasciandosi andare a profondi singhiozzi di pianto.

Al ristorante le cose cambiarono, le parole di Valeria lo avevano tranquillizzato ed il vestito attillato e supersexy che indossò prima di uscire contribuì non poco a scacciare i cattivi pensieri. Parlarono dei loro lavori, così diversi eppure così complementari, dei progressi di Paola dopo le sedute pratiche fatte con lui. Il viso di Valeria arrossì impercettibilmente, ripensando alle confessioni ricevute il giorno dopo. Era talmente entusiasta per la sessualità riconquistata, che non le risparmiò nessun dettaglio. Il racconto che le fece risultò particolarmente erotico, arricchito di tutte le parole che in quei momenti non aveva potuto esprimere a causa della palla in bocca. E la descrizione che fece delle sensazioni, che il suo corpo bendato e legato le aveva dato, era stata così accurata da spingere Valeria a masturbarsi appena fu sola. Anche ora le si erano bagnate le mutandine, aumentandone l’imbarazzo. Con la scusa di un pezzo di pane, sfiorò la sua mano sul tavolo mentre, accavallando le gambe, fermò il piede contro la sua gamba con finta casualità. Stava davvero corteggiandolo? Quando era con una donna che non lo pagava, aveva sempre difficoltà ad interpretare i messaggi non verbali. Temeva di cadere nella sua deviazione professionale, di essere condizionato dall’abitudine a frequentare donne che volevano portarselo a letto, ed aveva bisogno di messaggi semi-espliciti che non potessero essere fraintesi. Certo, lei non smetteva di giocherellare con la collana che oscillava nella scollatura, richiamando continuamente il suo sguardo sulle tette. Ringraziò mentalmente Sandra per i preziosi consigli al riguardo. Con noncuranza, Valeria si spostava frequentemente i capelli da un lato, per mostrare il suo collo lungo e sensuale come a dire “per favore, mordimi qui.” Anche lui stava cominciando a vederla sotto un altro aspetto, nient’affatto platonico. Quando arrivò il dessert, si giocò il tutto per tutto con una semplice domanda:

“Vuoi assaggiare?”

Lei avrebbe potuto compiere varie scelte, tutte significative. Poteva rifiutare, e sarebbe stato un rifiuto totale, oppure accettare. In questo caso, si aprivano altre possibilità: assaggiare solamente o condividere anche il proprio. Nella seconda ipotesi, avrebbe potuto proporre di fare a metà di entrambi i dolci, dimostrando una complicità fraterna, oppure scambiare reciproci assaggi ma restando ognuno col proprio piatto, rivelandosi autosufficiente e poco aperta a cambiare le proprie decisioni. Infine, con intraprendenza, avrebbe potuto usare il suo cucchiaino per accettare l’offerta, invadendo il suo spazio e il suo cibo, svelando una complicità amichevole con possibili sviluppi. Lei, naturalmente, non fece nulla di tutto ciò. Come il drugo Alex di Arancia Meccanica, ma senza schioccare la lingua, aprì la bocca e si protese in avanti per farsi infilare dentro il rigido acciaio e la sua crema. Più che un’allusione, era una vera e propria dichiarazione di disponibilità. La lenta sensualità con cui le labbra e la lingua ripulirono la posata era un’inequivocabile promessa di quello che sarebbe avvenuto di lì a poco.

“Da te o da me?”

Chiesero contemporaneamente, mentre uscivano ridendo abbracciati e mezzi brilli dal ristorante.

“Io un’idea ce l’avrei, se sei d’accordo. Mi piacerebbe andare nel tuo studio e farlo sul divano. Così quando ascolterai storie tristi e pesanti potrai pensare a questa notte e tirarti su. Oppure ti torneranno davanti gli occhi, all’improvviso, le immagini sconce di noi due e sorriderai estasiata ai pazienti in lacrime…”

Lo guardò incredula.

“Sei un bastardo perverso, lo sai? Però mi piace questa perversione, andiamo!”

Rispose e strizzò l’occhio in segno di complicità, pensando ai sederi ignari che si sarebbero accomodati sui quei cuscini nei giorni seguenti.

In macchina, Valeria tirò su la gonna fin quasi all’inguine, le gambe larghe che aspettavano la sua mano. Lui non si mosse, convinto che si sarebbe toccata da sola per provocare lui e i passeggeri dell’autobus notturno fermo accanto a loro al semaforo. Alla fine posò la mano sulla sua, poggiata sul cambio, e la guidò fino all’interno coscia. La pelle liscia sotto la mano ruvida vibrava di piacere e di attesa. La strinse intorno alla carne morbida, per farle capire senza parole quanto la desiderasse, poi la spostò sulle mutandine bagnate, gliele strinse e le tirò fino a farle infilare fra le labbra. Poi le scansò di lato e si fece strada nell’antro del piacere per insaporirsi due dita, che leccarono una ciascuno. La lingua di Valeria non si limitò ad assaggiare i suoi umori, ma fece la piroetta intorno al dito e lo succhiò con malizia, un preludio delle sue doti nel sesso orale. La portò prima a destinazione che all’orgasmo. Il pompino in ascensore lasciò lui nella sua stessa condizione di frustrata eccitazione, ma con la difficoltà di richiudersi la patta sul membro eretto.

“Ti copro io, seguimi!”

Disse lei mentre glielo afferrava con una mano per condurlo fino alla porta. Lui approfittò della vicinanza per darle un’energica strizzata alle chiappe, che lei si prese senza battere ciglio. Prima di arrivare sul divano rotolarono lungo tutta la parete del corridoio, baciandosi e spogliandosi con la stessa foga. La fece mettere a pecorina sul divano o, meglio, ce la spinse con forza. Valeria era già pronta a ricevere le sue vigorose stantuffate, ma fu il suo viso a tuffarsi fra le natiche e leccarla dall’ano al clitoride con sorprendente, per lei, maestria. Era curiosa di scoprire la differenza fra un professionista ed un amante amatoriale e capì immediatamente il senso delle parole di Sara:

“Ho compreso quello che dicevi in seduta quando lui mi ha baciato il culo: è sbagliato solo quello che non ci piace.”

Allungò una mano fino alla sua testa e la spinse ancora più contro di sé, fino a fargli mancare il fiato. Se avesse potuto, se la sarebbe fatta entrare dentro, avanti o dietro non faceva differenza. Lui, anziché divincolarsi o dirle qualcosa, passò un braccio intorno alla coscia ed iniziò a toccarle il clitoride. Lei lasciò i capelli senza neanche pensarci, la mano le serviva per afferrarsi un seno e pizzicarsi il capezzolo mentre lui la titillava e leccava. Il primo orgasmo arrivò inaspettato: le era bastato vedere le sue dita sul clitoride e intravedere la lingua fra le cosce per farla venire subito. Temporaneamente appagata, lo invitò a sedersi sulla spalliera, in modo che potesse rimanere a quattro zampe e scoparlo a sua volta con la bocca. In questa posizione lei riusciva ad ingoiarlo fino alle palle e lui poteva afferrarle i seni o i glutei, guidare la sua testa o sculacciarla. Si sentiva una vacca e voleva essere riempita ovunque, provava una furia animalesca che raramente era riuscita a liberare ma, complici il vino e l’attrazione che aveva provato per lui sin dal loro primo incontro, sentiva che non poteva e non voleva trattenersi. Lo fece scendere per prenderlo in fica ora che era al massimo del turgore, gli mise le mani sulle spalle per impedirgli di muoversi e lo cavalcò come un toro al rodeo. I movimenti del bacino per strofinare il clitoride sul suo pube sembravano una danza sciamanica, gli occhi chiusi e l’espressione di rapimento estatico sul volto confermavano l’impressione, per non parlare dei suoni a volte acuti a volte gutturali che uscivano dalle labbra quando non se le mordeva. Lui la afferrò con entrambe le mani per i fianchi e la aiutò a muoversi, sempre più velocemente, finché lei non si abbandonò sul suo petto soddisfatta e sudata. Non le diede il tempo di riprendersi, la fece sdraiare e le passò le solite due dita nella vagina fradicia e gliele infilò in bocca mentre lui si abbeverava direttamente alla fonte. La leccò lentamente e profondamente per prolungarle il piacere dandole, allo stesso tempo, la possibilità di tirare il fiato per qualche minuto. Fu lei, quando fu pronta nuovamente, a tirarlo a sé per baciarlo, ma non lo fece fermare a lungo e lo fece salire un altro po’, quel tanto che bastava per ospitarlo fra le tette e fargli una spagnola. I seni erano grandi abbastanza per avvolgerlo completamente e permettere alla lingua di toccare la cappella quando sbucava fuori.

“Adesso scopami il culo”

E, senza spostarsi, tirò su le gambe fino a offrirglielo. Per tenersi aperta e in equilibrio, passò le braccia all’interno delle gambe e si afferrò per le caviglie. Era letteralmente tutta spalancata. Fece prima un passaggio lubrificante nella sua fica, poi si fece lentamente largo nell’ano che non oppose molta resistenza. Quando fu stabilmente dilatato, alternò le penetrazioni fra avanti e dietro, o fra sopra e sotto vista la posizione, dandole contemporaneamente la sensazione di essere piena e vuota. In ogni caso, il clitoride non venne mai abbandonato dalla mano che lo toccava allo stesso ritmo delle chiavate, se non più forte. Alla fine il culo glielo scopò fino a farla urlare di piacere.

“Dove vuoi che venga?”

Le chiese, sperando che rispondesse quando ancora era utile una risposta.

“In bocca, lo voglio ingoiare.”

Non fece in tempo ad avvicinarlo, che lei lo fagocitò tutto, poi ne fece uscire quel tanto che bastava per afferrarlo con una mano e masturbarlo mentre le labbra succhiavano la punta. Quando la bocca fu piena di sperma, lo ingoiò e continuò imperterrita. La lingua che girava vorticosamente sulla cappella ipersensibile prolungò l’orgasmo all’inverosimile, la vista gli si annebbiò, la testa girava e tutto il sangue affluiva su quella punta rossa e gonfia. Fu così intenso che eiaculò una seconda volta. Lo lasciò andare solo quando ebbe la certezza di avergli spremuto anche l’ultima goccia di sperma. Il divano non era stato sporcato.



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