L’uomo che sapeva amare. Capitolo 4: Alessia

Contiene scene di sesso esplicito, si sconsiglia la lettura ai minori.

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Le settimane in cui non aveva lavorato avevano scatenato una sorta di crisi d’astinenza nelle clienti più assidue, quelle che più lo usavano come camera di compensazione per le frustrazioni o come valvola di sfogo per le repressioni. La pausa forzata ebbe l’effetto di far loro comprendere quanto gli mancassero, nella vita quotidiana, la considerazione e il rispetto che lui gli dimostrava, dietro compenso, ricoprendole di attenzioni e comprensione in ogni circostanza, senza mai giudicarle per le loro fantasie o per le loro vite. Non a caso, visto che la psicanalisi era la prima attività a cui paragonava la sua professione, solo che la declinava in maniera meno platonica. Il risultato fu una settimana intensa, ogni giorno ebbe un appuntamento lungo, di quelli da 4-6 ore, con una donna arrapata e con la testa piena di perversioni e di dubbi.

Lunedì, Alessia. Con lei la settimana iniziava sempre con un brivido: le piaceva farlo in posti pubblici, come i centri commerciali, i grandi magazzini o al cinema, a volte all’aperto o in macchina, ovunque si corresse il rischio di essere scoperti. Il lunedì era il suo giorno preferito, perché le masse avevano sciamato nel fine settimana e in giro c’era meno gente degli altri giorni, rendendo facile trovare angoli nascosti fra gli scaffali o nelle camere ricostruite, per non parlare dei cinema, in cui si era sicuri di non avere spettatori vicini, a volte solo le telecamere di controllo e questo era ancora più eccitante. Inoltre, il lunedì il marito aveva la giornata più impegnata del solito: faceva il medico fiscale e doveva andare a trovare i Peter Pan di cinquant’anni che si erano infortunati, il giorno prima, credendo di avere ancora l’agile abilità che si illudevano di avere avuto a vent’anni. Una sfilza di ossa rotte, strappi muscolari ed ematomi di vario tipo, gli stessi infortuni che Alessia, contemporaneamente, rischiava di provocargli in giro per la città. Già, perché Alessia era una delle rare clienti sposate che aveva. Lei non tradiva il marito, andava con lui perché voleva soddisfare le fantasie e le perversioni che il moralismo conformista del marito non le concedeva, senza correre il rischio di una storia con un amante innamorato; per il resto del tempo avevano un rapporto forte e soddisfacente e lei non aveva nessuna intenzione di lasciarlo nonostante il sesso piatto e monotono. Sospettò, persino, che lei avesse, se non chiesto il consenso, quantomeno informato il marito di loro due. Non le chiese nulla, anche se avrebbe potuto, e non lo seppe mai con certezza: era quel pizzico di ignoto e discrezione che creava il distacco professionale necessario.

Quel giorno decisero di fare il loro personale miglio dorato, un percorso che toccava dodici tappe, dodici luoghi pubblici in cui darsi piacere. Iniziarono dal parcheggio sotterraneo, la macchina posteggiata a spina fra le altre, con davanti un’altra fila di auto a coprirli dal viavai delle persone che lui guardò passare mentre lei, nascosta sotto il volante, gli slacciava i pantaloni e glielo prendeva in bocca. Non usò mai le mani, se non per tenergli le palle, fu un bocchino vero e proprio che lei interruppe un istante prima che lui raggiungesse il punto di non ritorno, quando iniziò a muovere il bacino cercando di scoparle la bocca. Lo lasciò duro, pieno di sperma e di desiderio, così sarebbe stato in quello stato di eccitazione fino alla fine del percorso. Il testosterone gli cancellò tutti i dubbi e tutte le ansie che la prospettiva di un pomeriggio di sesso al centro commerciale gli procurava. Era entrato come in uno stato di trance agonistica e tutto grazie a quel bocchino così avvolgente, morbido di labbra e lingua, caldo e umido di saliva.

“Ora sei pronto, possiamo andare.”

Glielo disse guardandolo con sorridente malizia, promettendo con gli occhi il completamento di quello che aveva iniziato, ma solo se lui lo avesse meritato.

L’ascensore che li portò di sopra era vuoto. Lui si inginocchiò e infilò il viso sotto la gonna, spostò le mutandine e gliela baciò mentre lei, con le due mani, lo teneva ben fermo contro il suo inguine in modo che non potesse staccarsi prima che l’ascensore fosse arrivato al piano. Quando si aprirono le porte, le persone in attesa per uscire dal grande negozio di mobili lo videro mentre si rialzava con la faccia scomposta ed un bozzo nei calzoni.

Le scale mobili erano il luogo preferito dall’esibizionismo di Alessia. Indossava apposta una gonna corta e larga che facilitasse sia la vista che le visite delle sue mani. Aspettarono a salire finché dietro di loro non arrivarono quattro ragazzini poco più che maggiorenni. Si mise intenzionalmente sullo scalino sotto di lui, così doveva allungarsi per baciarlo o anche solo per abbracciarlo, si fece anche sollevare fra le braccia, rendendo facile, al gruppo in basso, il compito di scoprire se avesse o meno le mutandine. Le aveva ancora, ma il sedere che videro sarebbe stato ugualmente presente in molte delle loro successive sedute masturbatorie, nonostante ci fosse sopra una mano di lui che lo stringeva o forse proprio per questo. Sentivano le risatine, percepivano i commenti che si borbottavano, le gomitate che si davano. La eccitava sentirsi ammirata, desiderata, entrare nelle fantasie degli altri. Del resto, era l’unica cosa che gli concedeva e, a parte il lunedì, l’unica cosa che concedeva a se stessa. A volte era lei a toccarsi, immaginando avventure con qualche estraneo che non si limitasse a guardarla.

Si liberarono facilmente dei ragazzini, sparendo in una delle case finte in esposizione. Erano il posto ideale, perché i bagni erano l’unica stanza ad avere una porta, anche se senza serratura. Lei appoggiò la schiena contro la porta, così da tenerla chiusa anche se l’avessero spinta, gli slacciò i pantaloni e glieli abbassò, gli preparò il cazzo con le mani e con la bocca poi si girò di spalle alzandosi la gonna sopra le reni, divaricò bene le gambe e la fica, appoggiò le mani aperte contro la porta, e aspettò che lui la prendesse. Arrivò una sculacciata, invece, più rumorosa del dovuto, che la eccitò ancora di più per il rischio che qualcuno potesse averla sentita e venisse a cercarli. Subito dopo sentì la sua verga entrarle dentro, stantuffarla con vigore, con i corpi che sbattevano e facevano altro rumore udibile, le sue mani che la tenevano per i fianchi e per le chiappe per farglielo sentire ancora più a fondo, le dita di una mano di lui che sgrillettavano il clitoride mentre le altre le aprivano la bocca e la esploravano. Sentì un’ondata di calore che dal ventre le scendeva lungo le gambe, era venuta ed aveva eiaculato. Lui no, lui si trattenne, non era ancora il momento, erano ancora solo alla quarta tappa. Le pulì le gambe e la fica con la lingua, succhiando ogni suo umore, poi la baciò sulla bocca per farli assaggiare anche a lei, per condividerli con la sua lingua.

Uscirono dal finto bagno commentando l’arredamento, come se nulla fosse, come se non avessero i visi arrossati e lo sguardo malizioso, come se lei non stesse infilando le mutandine in borsa e lui non avesse un cazzo duro nei pantaloni. Avevano voglia di qualcosa da mangiare o bere, qualcosa da mettere in bocca in modo erotico, qualcosa che facesse godere anche le papille gustative sublimando il sesso con il cibo, qualcosa che spingesse le casuali spettatrici a ordinare “quello che ha preso la signora”. La scelta ricadde su di una pizzeria al taglio, forse meno erotica di un gelato ma con una lunga fila, che era quello che cercavano realmente: la fila alle casse era una delle cose che la eccitavano di più. Si disposero in fila indiana, lei davanti. Sulla loro destra c’era la parete del negozio, per cui lui sentì il dovere di approfittare della protezione offertagli, infilando la mano sotto la gonna, dove un tempo c’erano le mutandine. La accarezzò delicatamente, restando all’esterno, lentamente, non dovevano farsi scorgere. Lei, senza girarsi, portò la mano dietro a cercare il suo pacco, lo strinse e lo manipolò dall’esterno, poi infilò la mano dentro i pantaloni, dall’alto, senza slacciarli. Lo trovò senza fatica e iniziò a masturbarlo con la stessa lenta delicatezza con cui lui continuava a giocare con la sua fica umida mentre la teneva sempre più schiacciata al suo corpo. Quando fu il loro turno, solo lei liberò la mano per poter pagare mentre lui, nascosto dall’alto bancone dietro il quale era infilata la cassa, le infilò un dito dentro che le fece tremare la voce mentre ordinava due pezzi di margherita. La mangiarono seduti ad un tavolino che dava sul viale del centro commerciale, così da avere un pubblico più vasto. Per non sporcarsi con la mozzarella filante che tendeva a cadere, questa era la scusa ufficiale, lei tirò indietro il sedere sulla sedia, si sporse in avanti con il busto mettendo contemporaneamente in evidenza sia il culo che le tette, allargò le gambe per evitare colature sulla gonna e, con la testa rivolta all’indietro, la bocca aperta e la lingua di fuori, si calava dall’alto la pizza fra le labbra. Sembrava che stesse prendendo un cazzo in bocca mentre riceveva una doppia penetrazione, posizione ed espressione erano le stesse. Lui, da sotto il tavolino, le scattò qualche foto della sua fica spalancata, nascosta da pochi centimetri di gonna dallo sguardo dei passanti dietro di lei, cosa che lei apprezzò particolarmente nonostante fosse una novità di cui non avevano mai parlato, anche per il tatto dimostrato non inquadrandole il volto. Si meravigliò che il suo esibizionismo non avesse mai contemplato le foto o i video. Si alzò, lo prese per mano e

“Vieni, ho avuto un’idea, però prendi il mio telefono…”

Lo portò nel reparto giardinaggio del magazzino di bricolage lì vicino, facendosi filmare sotto la gonna mentre camminavano. Raggiunsero l’angolo più lontano e nascosto, quello dei vasi giganti e delle statue decorative che nessuno compra mai. Voleva un servizio fotografico sexy. Iniziò facendo uscire il seno dalla scollatura, poi una in cui lo stringeva fra le mani, poi mentre si leccava un capezzolo e un’altra in cui se li stringeva entrambi fra le dita e li torceva tirandoli verso l’alto. Lasciando il seno di fuori, si girò di schiena e alzò la gonna mostrando il suo bellissimo sedere, poi afferrò le chiappe con le mani e le allargò per mostrare il buchino. Girò il busto, così da mostrare anche il seno mentre si piegava in avanti per far sbucare fra le cosce la sua fica tenuta aperta da due dita. Lo sguardo invitante sembrava dire “ti offro tutto questo, vuoi prenderlo?”. Quando si girò frontalmente, ancora con la mano fra le cosce, gli chiese di filmarla. Si appoggiò con la schiena alla fila di vasi, in modo che nessuno potesse vederla da lontano mentre lui aveva il controllo su tutte le vie d’accesso al loro set improvvisato. Divaricò le gambe, piegò leggermente le ginocchia ed iniziò a masturbarsi. Con la punta delle dita della mano sinistra si accarezzava il clitoride lentamente, mentre l’altra, dopo averla infilata in bocca e succhiata come se fosse il suo cazzo, se la infilò dentro con quattro dita. Aveva già fatto abbastanza preliminari, era spalancata e fradicia, voleva solo venire. Tirò fuori il mignolo per avere più mobilità con le tre dita più lunghe ed iniziò a fottersi con foga, a sbattersi sempre più a fondo mentre le dita volavano velocissime sul clitoride. Tirò fuori anche il resto delle dita, restando con la fica spalancata mentre continuava sempre più furiosamente a titillarsi il clitoride finché non proruppe in un forte getto che bagnò persino il telefono. Fu scossa da un tremito. Mentre la sinistra aveva rallentato ma non smesso il suo movimento, si passò la mano destra fra le cosce per raccogliere un po’ di quei liquidi e si portò entrambe le mani alla bocca per gustare il meglio di sé. Usò le mutandine per asciugarsi le gambe, poi gliele schiacciò sul viso per fargli sentire cosa si era perso, per fargli capire che non aveva bisogno né di lui né di nessun altro per avere orgasmi esplosivi. Sapeva, però, che senza di lui non si sarebbe mai lasciata andare così, quindi decise di dimostrargli la sua riconoscenza.

Lo trascinò nel negozio di sport, come settima tappa, a fargli provare i costumi da bagno. In realtà, era un modo per averlo senza pantaloni e poterlo ricambiare per il servizio video-fotografico. Il copione prevedeva che fosse lui a chiamarla nel camerino, per farle vedere come gli stava il primo costume. “Dai, fammi vedere come ti sta l’altro” fu l’ultima cosa che sentirono da fuori. Lei glielo prese in bocca, con una mano gli teneva le palle e con l’altra lo masturbava a ritmo con il sali e scendi delle labbra. La lingua girava intorno alla cappella, sfiorava la punta un attimo prima che venisse inghiottito dalla bocca fino alla base delle palle. La sincronia con cui lo succhiava, leccava e masturbava contemporaneamente gli fecero venire l’impulso di muovere il bacino, di sbatterla, di scoparla in bocca. Le mise una mano dietro la testa, l’afferrò per i capelli per tenerla ferma mentre lui la stantuffava. Quando lei sentì che si allentava la presa sui capelli, capì che lui stava quasi per venire. Staccò la bocca e il viso, si allontanò quel tanto che le permettesse di masturbarlo con foga per fargli raggiungere l’orgasmo mentre lo guardava negli occhi, poi lo infilò prontamente in bocca per farsela riempire di sperma. Lo bevve tutto, compresa la goccia che raccolse con un dito mentre colava sul mento. Uscirono senza comprare nulla, ma ugualmente soddisfatti.

Nei loro piani, il negozio di intimo sarebbe dovuta essere una delle tappe più eccitanti, ma non avevano previsto che prima ci sarebbero stati tre orgasmi così intensi. Alla fine si rivelò lo stesso una tappa cruciale, che gli permise di riprendere fiato e ritrovare il desiderio bollente che gli avrebbe consentito di completare il miglio dorato. Lei prese alcuni completini, babydoll e sottovesti ed entrò nel camerino. Lui restò fuori. Dopo pochi istanti, lei uscì dal camerino con un reggiseno a balconcino di pizzo nero che faceva vedere bene il seno ma nascondeva i capezzoli, aumentandone il desiderio di vederli. Le mutandine, di pizzo nero anche loro, lasciavano capire che era depilata ma, anche in questo caso, nascondevano le forme della vagina. Sul sedere il pizzo proseguiva con un triangolo che usciva dalle chiappe e si allargava fino alla vita, quasi a ricongiungersi sottilmente con quello davanti. Lei continuava a girare su se stessa chiedendo giudizi ad alta voce, con disinvoltura. Poi tornò dentro per cambiarsi. Uscì con un babydoll blu, chiuso solo sui seni. L’apertura scendeva aprendosi a formare un triangolo che, da sotto il seno, si allargava verso l’ombelico, poi scopriva il ventre e finiva quasi sui fianchi, lasciando completamente in vista il triangolo delle mutandine a vita bassa dello stesso colore, terminando un centimetro sotto il loro elastico. Il sedere era coperto, nella metà centrale, da aderente seta blu che ne esaltava la forma tonda e soda. Restavano scoperte le metà esterne dei glutei, quelle su cui lui avrebbe voluto mettere le mani per afferrarla e tirarla verso di sé, per tenerla ferma mentre le premeva l’inguine contro il sedere, quelle che avrebbe sculacciato finché non fossero diventate rosse. Ciò che la rendeva forse più sexy del completo vedo-non vedo di prima, in cui si vedeva molto comunque, non era l’assoluta mancanza di fronzoli, di trasparenze, di pizzi o di ricami che lo lasciavano indifferente, ma era quell’apertura che partiva da un oggetto del desiderio ben messo in mostra, i seni che, sebbene ben coperti, riempivano il décolleté di morbide promesse, tracciava come una freccia verso l’origine del mondo, una strada da percorrere in punta di lingua, una strada piena di fremiti e di sussulti appena si raggiunge l’ombelico e lo si oltrepassa. Il triangolo a vita bassa che rappresentava le mutandine era grande abbastanza per celare solo il necessario, come fanno i ciuffi di peli. Era completamente affascinato da come non riuscisse a staccarle gli occhi dall’ombelico e dal ventre piatto. Le parti coperte non avevano importanza, si sarebbero scoperte in seguito, ora desiderava solo leccare tutto quello che vedeva partendo dall’ombelico, dal quale era particolarmente attratto, per poi finire con la faccia fra le tette e concludere fra le sue gambe. Lei, girandosi per rientrare in camerino, incrociò lo sguardo interessato di un uomo la cui donna stava vagando fra gli scaffali. Gli fece un cenno, come a dire “il prossimo lo provo per te” e sparì dietro la tenda. Uscì con una sottoveste bianca, trasparente e aderente. Per il suo nuovo ammiratore ebbe l’accortezza di non indossare biancheria. Il seno, che era contenuto in due coppe forse leggermente più trasparenti del resto, o forse era la luce a fare questo dono benvoluto, era bellissimo, maestoso e fiero, e rendeva ancora più piatto il ventre e, di conseguenza, ancora più intensa la curva dei glutei alla fine della schiena. Il tessuto elasticizzato che la avvolgeva le arriva esattamente sotto il sedere, infilandosi proprio nella piega fra la coscia e il gluteo, coprendola solo a patto di non piegarsi. Era come in una guaina di latex, senza il senso di impenetrabile spessore della gomma, con tutte le forme ben delineate e i capezzoli turgidi ben visibili. Lei non si era dimenticata del discreto spettatore e, dandogli le spalle, si chinò leggermente in avanti, facendogli vedere bene che non indossava nulla sotto e che aveva la fica gonfia per il sesso fatto. Quando si rigirò per vedere la reazione che aveva prodotto, l’uomo stava per essere trascinato fuori per un braccio dalla moglie che si era accorta di tutto. Prima che le commesse capissero cosa stava accadendo, lei rientrò in camerino l’ultima volta e ne uscì con i suoi abiti indosso e il babydoll blu sul braccio. Andando verso la cassa, lui pensò di aver tirato fuori la lingua inavvertitamente, mentre lo provava, o di aver fatto qualche espressione eloquente che le avesse fatto capire quale desiderio gli provocava. Si immaginò a bocca aperta con un rivolo di bava che colava da un angolo del labbro come Homer Simpson e gli venne da sorridere.

La zona con i locali dove mangiare era al piano di sopra, dovevano prendere nuovamente le scale mobili. Stavolta non le interessava farsi vedere ancora, voleva qualcosa che mentre provava la biancheria non poteva avere, la sua mano fra le gambe. Salì prima di lui, con i piedi su due gradini diversi e le gambe divaricate. Quando lui fu vicino, lo tirò a sé mettendogli una mano dietro la nuca e gli infilò la lingua in bocca, mentre l’altra mano prendeva quella di lui e se la infilava sotto la gonna. Voleva sentirsi la sua troia, si offriva nella sua mano, voleva che gliela stringesse, che la tenesse in pugno, che ne sentisse la proprietà. Lui infilò l’indice e il medio dentro la sua vagina, a contatto con il punto g, mentre il pollice, da fuori, spingeva il clitoride contro le dita interne. Tenendola così fra le dita, la masturbò qualche secondo, giusto il tempo di farle rimpiangere la fine della salita e la forzata interruzione. Andarono verso il ristorante camminando abbracciati come una coppia innamorata, se non fosse stato per quella mano di lui che poggiava un po’ troppo sotto il fianco di lei per non essere considerata sconveniente.

Al ristorante scelsero un tavolo appartato, in un angolo del locale, con un divano a ferro di cavallo intorno che gli consentì di sedersi vicini. Nel farlo, lei ebbe l’accortezza di alzarsi la gonna per sentire il freddo cuoio del divano sulla pelle nuda senza farsi notare dal cameriere che li accompagnava. Non voleva spettatori, questa volta, voleva qualcosa di più intimo, voleva essere desiderata solo da lui. E desiderava solo lui. Per dimostrarglielo, aprì la cerniera dei suoi pantaloni e infilò la mano dentro. Lui coprì il tutto con il tovagliolo e la guardò con grata malizia, lei ricambiò con uno sguardo di dediziosa lussuria. Con nessun altro sarebbe riuscita a realizzare i suoi sogni senza sentirsi sporca e avere sensi di colpa, perché con il marito o i conoscenti ci sarebbero stati moralismi, giudizi, gelosie e desideri non corrisposti che con lui non c’erano. Certe fantasie potevano mettere in crisi la stabilità della coppia, compromettere la fiducia reciproca, creare uno squilibrio nei rapporti senza che, a posteriori, ne fosse valsa la pena. Anche coinvolgendo un amico o un collega, anziché il marito, l’imbarazzo successivo sarebbe stato nefasto. Del resto, non era uno stile di vita che avrebbe voluto vivere per sempre, era più una sfida con se stessa, come lanciarsi con il paracadute. Voleva scoprire se le sue fantasie erano realmente come le immaginava, se era in grado di gestirle, voleva sentire un po’ di adrenalina. Era importante, per lei, sapere fin dove poteva arrivare, quali erano i suoi limiti invalicabili, se i suoi erano desideri che era in grado di realizzare o se erano solo sogni irraggiungibili dettati dall’illusione di essere più coraggiosa e disinibita di quanto non fosse in realtà. Non aveva mai avuto paura di seguire l’istinto nelle scelte che aveva dovuto fare nella vita non-sessuale, “da vestita” diceva, ma nel sesso l’insuccesso coinvolgeva necessariamente almeno un’altra persona, non ricadeva solo su di lei, e non voleva far soffrire nessuno. Di farlo con estranei non se ne parlava neanche, quella che aveva trovato era l’unica soluzione possibile. Lui era un professionista, lei era una cliente fra le tante. Nessuno si sarebbe fatto male e avrebbe potuto smettere in ogni momento senza spiegazioni o strascichi. Questi erano gli argomenti che la convinsero, ma quello che le fece prendere la decisione di lasciarsi andare proprio con lui, e non con un altro prostituto, era quel senso di comprensione che le faceva provare. Lui non la giudicava non perché non rientrasse fra i suoi compiti, no, lui non la giudicava perché sapeva ascoltarla. Lui non criticava, non faceva rimproveri, si limitava a fare domande. A volte la portava a trovare da sola la soluzione, altre volte l’aiutava a comunicare meglio quello che aveva in testa. In ogni caso, lo sentiva sempre dalla sua parte, lì per aiutarla ad essere sé stessa senza compromessi. Se non ne avesse approfittato per realizzare in sicurezza tutte le sue innocenti perversioni, si sarebbe sentita una codarda rassegnata. Tutto questo glielo stava comunicando con la delicatezza con cui gli accarezzava l’uccello nei pantaloni mentre gli regalava sguardi di gratitudine. Era una scena tenera, nonostante glielo tenesse in mano in un ristorante. Più che masturbarlo, lo stava coccolando. Anche lui insinuò lentamente la sua mano fra le sue cosce, accarezzandola con la stessa dolcezza. A lui venne comunque duro, mentre a lei si dilatava e inumidiva. Continuarono anche quando arrivò la cena, come se si stessero tenendo semplicemente la mano. Uscirono dal locale ridendo per la vistosa erezione che sporgeva dai suoi pantaloni, con lei che lo esibiva come un trofeo, per l’invidia delle donne presenti.

Al cinema studiarono con attenzione il monitor che riportava i biglietti disponibili per i vari film. Non scelsero il film, scelsero la sala con il maggior numero di posti liberi, sperando di avere la discrezione cercata. Furono fortunati: quando entrarono nella piccola sala c’era solo una coppia seduta al centro della terza fila dal basso, i posti della Nouvelle Vague, consentendogli di occupare senza problemi le poltrone alla fine della fila più in alto. Quando avevano pianificato il percorso del miglio dorato, avevano immaginato di sedersi in prima fila, più in basso dello schermo, così da ridurre le possibilità di essere scoperti, protetti anche dagli alti schienali, senza azzerarle del tutto. L’idea di essere osservata mentre si lasciava andare al piacere era una cosa che la eccitava, anche se quella giornata si era limitata a far vedere il sedere a dei ragazzini. Nel mettere in pratica le sue fantasie, si era resa conto che non voleva rischiare interruzioni o aggressioni di gruppo, che certe cose è bene immaginarle solo mentre ci si masturba perché nella realtà non si incontrano gruppi di bei ragazzi sani e puliti ma una massa di uomini brutti, maleodoranti, che vengono troppo presto e per giunta da soli. In fin dei conti, le bastava essere in pubblico, farlo di nascosto circondata da gente ignara. Anzi, aveva scoperto che lo trovava più eccitante dell’essere osservata: nonostante tutto era una romantica, voleva concedersi solo al suo uomo. La riprova fu il lungo bacio appassionato che si scambiarono prima che si spegnessero le luci. In realtà, le loro lingue si intrecciarono finché non fu buio, come due adolescenti che non riescono a staccarsi. Col buio, non smisero di avere diciassette anni e continuarono a pomiciare. Il passo successivo fu la mano sul seno, da sopra la maglia. Non bruciavano i tempi come al solito, avevano la velocità delle prime esperienze, il desiderio di assaporare tutto come se fosse la loro prima volta. Come da prassi, la mano si infilò sotto la maglietta, soffermandosi sulla pancia, la prima pelle incontrata. Non era fredda, ma lei era bollente e la differenza di temperatura le fece contrarre gli addominali e avere un brivido che si sciolse non appena la mano si mosse dolcemente sul fianco e sulla schiena. Più che esplorare la sua pelle, esplorava i suoi muscoli, ci si aggrappava per il desiderio. Ne esaltava contemporaneamente la forza e la femminilità e gli bastava una mano per farla. Fu lei ad afferrarla e portarsela sul seno, voleva sentirsi solo femmina, voleva offrirsi a quelle dita così lunghe e belle che le davano tanta sicurezza. Lui le strinse la tetta, fermandosi con naturalezza l’istante prima di farle male, gliela manipolava come se fosse gelatina, ci affondava il viso come un bambino si tuffa su una torta di panna. Alla fine la tirò fuori dal reggiseno, abbassandolo senza toglierlo. Con un dito sfiorò il capezzolo, lei sussultò di nuovo sorpresa da un tocco così leggero mentre si aspettava di essere ancora strizzata. Ci girò intorno, sempre leggermente, come se non sapesse cose fare, come per passare il tempo. All’improvviso lo strinse fra due dita e lo torse, lei gli morse le labbra come reazione. Nessuno dei due smise, continuarono guardandosi negli occhi per alcuni secondi. Lui le comunicava di essere il suo padrone e che poteva scegliere se darle piacere o dolore, lei gli rispondeva che il suo piacere dipendeva dalla sua disponibilità e che sarebbe stata vendicativa se non l’avesse fatta godere. Era quasi uno stallo in un duello, che lui ruppe allentando la presa sul capezzolo; lei smise di mordergli il labbro senza togliere gli occhi dai suoi; lui le strinse tutta la tetta e gliela ruotò, per rimarcare che deteneva ancora il potere; lei gli affondò le unghie nel collo e lo avvicinò al suo viso fino a sentirne il respiro. Gli sfiorava le labbra con le labbra, si faceva desiderare e poi si ritraeva, si avvicinava fingendo di essere raggiungibile e si allontanava quando le sue labbra stavano per baciarla, gliele sfiorava con la lingua e scappava ogni volta che lui provava ad afferrarla coi denti, con la mano dietro la nuca lo avvicinava a sé e lo tirava indietro senza mai concedergli la sua bocca. Lui poteva anche essere forte, ma era lei che decideva se farsi prendere oppure no. Gli infilò la lingua in bocca all’improvviso, afferrandogli la testa con entrambe le mani mentre la sua tornava ad accarezzarle il seno senza violenza. Grazie alla complicità del bracciolo che li separava, non sentivano ancora la necessità di andare oltre, anche se una mano maschile poggiava su una coscia femminile muovendosi lentamente verso l’alto. Lei, per protendersi meglio verso di lui, teneva le gambe incrociate sollevando leggermente il sedere dalla poltrona; la sua mano continuò a salire, castamente, fino al fianco e sulla parte di gluteo disponibile. La sensazione della pelle liscia sotto il suo palmo era dolce, tenera, delicata; la leggerezza con cui usava la sua mano forte e ruvida sulle sue gambe la faceva sentiva protetta e coccolata. Nessuno dei due aveva la foia che li aveva accompagnati nel pomeriggio, anche perché sapevano di avere tutta la durata del film a disposizione della loro intimità. Lui, ad esempio, voleva amplificare le sensazioni prodotte dal contatto fra la mano e la coscia, così si alzò dalla sua poltrona e si sedette per terra davanti a lei, spalle allo schermo. Aveva previsto questa posizione sin dal momento in cui avevano programmato la tappa al cinema, motivo per cui non ebbe difficoltà a trovare l’incastro giusto fra gambe di lei, gambe della poltrona e gambe sue. La gamba destra di Alessia era bloccata fra il bracciolo e il suo corpo mentre la sinistra era leggermente piegata e sollevata grazie al piede poggiato sul bracciolo davanti, le sue gambe passavano sotto la poltrona e sbucavano nel corridoio laterale, la faccia e la fica che si guardavano. La afferrò per i fianchi e la fece scorrere in avanti sul sedile, avvicinandola a sé, quindi affondò il viso fra le sue cosce e gliela baciò con la stessa dolcezza con la quale esplorava la sua pelle poco prima. Non usò mai le dita, solo la lingua era la penna giusta per scrivere le sensazioni di quel momento. Lei si abbandonò completamente a lui, percepiva la sua fica come un duplicato della bocca e non esisteva altra parte dei loro corpi, come durante il bacio che si erano dati a luci accese. La testa all’indietro sullo schienale, gli occhi chiusi, le unghie che si aggrappavano ai braccioli per non aggrapparsi a lui: non voleva distrarlo ma, soprattutto, non voleva sentire altro che la sua lingua che le esplorava il clitoride, che le apriva le labbra, che provava ad entrarle dentro, che le riempiva la fica. Perdeva la testa quando lui gliela risucchiava tutta nella sua bocca, quando le tirava le labbra, quando le mordicchiava il grilletto. Le piaceva averlo ai suoi piedi, dedito disinteressatamente al suo piacere, suo schiavo personale. La faceva sentire forte, superiore: non solo lui era a terra davanti a lei, sottomesso e succube, ma non poteva neanche usare il suo strumento virile. L’aveva simbolicamente evirato. Capì in quel momento, per la prima volta, la sensazione di potere provata dagli uomini quando toglievano alle donne la possibilità di esprimersi, riempiendogli la bocca con il loro cazzo. Se gli uomini negavano loro la manifestazione dell’intelletto, le donne li ripagavano negando la necessità del pene per i loro orgasmi, emancipandosi dal maschio e dal suo fallo. Certo, non era questo il caso, lui l’aveva fatto spontaneamente, ma vederlo lì per terra le aveva fatto provare un senso di dominio, si sentiva una regina con ai piedi un suo vassallo.

La fine del primo tempo e la relativa accensione delle luci li colsero all’improvviso. Si ricomposero con un po’ di difficoltà, lui dovette fingere di cercare qualcosa a terra per non insospettire la coppia davanti, che si era girata a controllare se fossero entrati altri spettatori dopo l’inizio del film. Con la scusa di fumare una sigaretta di nascosto, andarono nel corridoio che portava all’uscita di sicurezza. Lei non riusciva a togliersi dalla testa la sua recente riflessione e lui le teneva una mano sul suo pacco per farle intendere che ora era il suo turno. Aprì la patta e infilò la mano come a misurarlo, a vedere se era degno di lei. Glielo manipolò giusto un po’, per farlo illudere meglio, poi tirò fuori la mano. Indugiò una frazione di secondo con la mano sulla fibbia della cinta poi, anziché slacciarla, prese la zip con l’altra e richiuse i pantaloni.

“Non ancora.”

Appoggiò la schiena contro il muro e, alzandosi la gonna, lo spinse verso il basso costringendolo ad inginocchiarsi. Gli mise una gamba sulla spalla, gli schiacciò la testa contro il suo pube e la coprì con la gonna.

“Non hai finito!”

Era quasi violenta, di certo molto decisa. Lo teneva fermo con una mano mentre muoveva il bacino per fottergli la faccia. Voleva fargli mancare il fiato, ma lui infilò le braccia fra le sue gambe e, afferrandola per le chiappe, se la tirò ancora di più contro il viso. Sarebbe voluto entrarle dentro con tutta la testa. Già, lui era molto intellettuale, l’avrebbe voluta scopare con il cervello. Per lei, invece, la stava scopando col cuore: nel momento in cui lei lo aveva umiliato negandogli soddisfazione, quando aveva mostrato il suo egoismo, quando aveva cercato di usarlo, lui aveva risposto donandosi a lei con più slancio, accettando anche il suo lato oscuro e desiderandola ancora. Non si era mai sentita così libera e amata e le venne in mente il marito. Non che avesse di che lamentarsi per il sesso con lui, anche se non avrebbe mai concepito il miglio dorato, ma ora si rendeva conto che poteva avere di più, che voleva di più. Ce l’aveva con lui per non averle offerto quello che meritava, quello che le spettava, per non averla amata abbastanza. Ora si sarebbe vendicata, si sarebbe lasciata amare da un uomo pagato per farlo. Sin dall’inizio era andata con lui per proteggere suo marito dalle sue perverse fantasie, adesso voleva affermarle proprio contro il suo matrimonio.

“Mettimi un dito in culo!”

Si muoveva con sempre maggiore vigore, strofinando tutta la fica sulla sua faccia. Lui scese con la bocca verso il perineo quel tanto che bastava per permettere alle dita dell’altra mano di raggiungere il clitoride. Ora lei si dimenava con un dito in culo, la fica piena di lingua e il clitoride sfregato furiosamente. La rabbia verso il marito le fece avere un orgasmo travolgente che la fece tremare tutta. Lui continuava sul clitoride nonostante i suoi spasmi e riuscì ad allontanare la faccia appena in tempo. Un getto trasparente disegnò un arco nell’aria, prima di bagnare il pavimento fra i loro piedi. Anziché farle scendere la gamba dalla spalla, lui le tirò su anche l’altra e distese le braccia dietro la sua schiena per sorreggerla dritta e, tenendola contro la parete, si alzò in piedi. Con le gambe intrecciate dietro la sua schiena, lei si reggeva con entrambe le mani alla sua testa mentre lui le dava un tenero bacio defaticante post-coito fra le cosce.

Rientrarono in sala che il film era già ricominciato. Stavolta lei andò dritta verso la seconda poltrona, lasciando a lui quella del corridoio. Gli era grata e voleva dimostrarglielo. Fu contenta di non trovarlo già duro, significava che si era dedicato al suo piacere senza pensare al proprio. Le piaceva quando si indurivano, quando i peni si trasformavano in cazzi fra le sue mani o in bocca, la gratificava constatare l’effetto che produceva: in qualche modo si illudeva di essere l’artefice di tutta quella potenza virile che, senza di lei, non si sarebbe manifestata. Iniziò leccandolo dolcemente in tutta la sua ridotta lunghezza, mentre con le palle in mano gli stimolava il perineo. Quando cominciò a succhiarlo, il sangue affluì velocemente e lo sentì crescere sulla lingua. La mano risalì fino ad afferrarglielo, mentre la punta rimaneva nella sua bocca a disposizione della lingua che ci girava intorno con foga. Strinse un po’ il pugno, per saggiarne la consistenza. C’eravamo quasi. Prima che fosse troppo rigido e grande, scese con la bocca fino alle palle e provò a far entrare anche quelle. Le riuscì, per qualche secondo, finché non fu chiaro quanto lui apprezzasse e, spingendo contro la gola, non le fece mancare il fiato. L’idea che potesse soffocare con il suo cazzo lo faceva sentire una divinità con potere di vita e di morte. Le chiuse il naso con due dita, mentre con l’altra mano le spingeva la testa verso il basso. La tenne così per alcuni istanti, poi le tirò su la testa quel tanto che le permettesse di respirare con la bocca e ricominciò senza darle il tempo di finire il respiro. Lo ripeté quattro o cinque volte, finché non vide le sue gote arrossire per la mancanza di ossigeno. Le alzò la testa prendendola per il mento e la baciò con voracità. Le aveva chiesto la vita e lei gliela aveva offerta senza protestare. Mentre si baciavano lei non smise di masturbarlo: le piaceva avere in mano tanta potenza e la facoltà di farla esplodere in uno schizzo oppure lasciarla compressa. Facoltà che sapeva ben destreggiare, tenendo un cazzo duro, ma senza farlo venire, per tutto il tempo che voleva. Ogni volta che percepiva che lui stava per lasciarsi andare, un istante prima che fosse inarrestabile, lei cambiava ritmo o movimento, faceva una pausa, lo distraeva baciandolo sulla bocca, gli toccava le palle o gli leccava la cappella, giocava con il suo buco del culo, gli leccava il collo e le orecchie, lo mordicchiava per fargli sentire dolore o si interrompeva con la scusa di un pelo in bocca. Quando scopava era più difficile, perché non sempre aveva lei il controllo, ma ora poteva farglielo diventare di marmo, farlo crescere oltre il limite e voleva tenerlo in quello stato per tutta la seconda parte del film. Il miglio dorato non era ancora finito. Dovette usare molta saliva per lubrificarlo, ma i titoli di coda lo trovarono ancora pieno di sperma e dovette usarli tutti per riuscire a rimetterlo nei pantaloni e ricomporsi.

La dodicesima tappa del miglio dorato, la fine del loro percorso nella trasgressione, era un ritorno all’origine, alla macchina nel parcheggio. La differenza, stavolta, era il parcheggio deserto: i negozi avevano chiuso e rimanevano solo le poche auto del ridotto pubblico dell’ultimo spettacolo del lunedì sera. Erano arrivati al parcheggio rincorrendosi, con lui che la inseguiva per infilarle la mano sotto la gonna e toccarle il sedere o la passera, mentre lei gli sfuggiva civettuola. Quando raggiunsero la macchina, la inchiodò contro la portiera chiusa e le infilò la mano sotto la gonna, fra le cosce che lei aprì leggermente per facilitargli il compito. Le infilò due dita più a fondo che poté, a dimostrarle che conosceva bene quello che lei stava aspettando. Tirandole fuori, le fece scorrere fino al clitoride per raccogliere quanto più sapore possibile. Gliele infilò in bocca, spingendo in basso la mascella per tenergliela aperta, con forza. Era rude, porco, desideroso. Il secondo tempo del film lo aveva reso pieno di sperma e la vedeva solo come buchi in cui svuotarsi. Proprio quello che lei voleva. Gli slacciò i pantaloni, glielo tirò fuori e lo riportò allo stato desiderato. Quando erano entrambi pronti, lui aprì lo sportello del passeggero e la fece inginocchiare sul sedile, con il sedere rivolto fuori dalla macchina. Lui, in piedi, la afferrò per i fianchi e la prese da dietro. Di lei vedeva solo il sedere che usciva dalla macchina, il resto era coperto dal tettuccio, e lei vedeva solo le sue mani e il suo bacino. Erano pezzi di corpo combacianti, puro istinto animale. Le aveva appena infilato un dito nel culo, mentre le riempiva la fica di cazzo, quando furono interrotti da un metronotte che faceva il suo giro di ronda. Riuscirono a non farsi beccare, ma furono costretti ad andarsene senza avere concluso degnamente l’ultima tappa del loro percorso erotico. Ma non era solo lui ad essere, chiaramente, insoddisfatto. Lei era rimasta infoiata così tanto che, continuando a toccarsela mentre lui la riportava a casa, gli propose una tredicesima tappa, quella che avrebbe reso leggendario il loro miglio dorato. Non aveva dimenticato la rabbia nei confronti del marito, colpevole di non averla mai fatta sentire libera e contemporaneamente accettata come si era sentita quel giorno, e voleva fargliela pagare umiliandolo. Gli chiese di accompagnarla fino alla porta di casa, voleva farsi scopare per le scale e sul pianerottolo. Mentre cercava le chiavi nella borsa, toccò il telefono con le dita e la sua vendetta trovò anche un testimone.

“Tieni, sai già come funziona.”

Voleva che la filmasse dal suo punto di vista, che si vedesse bene che troia fosse e quanto le piacesse farsi sbattere, senza che il volto di lui fosse inquadrato. Voleva essere lei, l’unica protagonista, lei e la sua voglia di cazzo, il volto di un uomo, qualunque fosse, era superfluo. Inoltre, lui avrebbe mantenuto l’anonimato, così importante per la discrezione delle sue clienti. Non l’aveva sfiorata l’idea di tutelarlo dal marito, anche se ne era una conseguenza: non l’avrebbe mai affrontato fisicamente, era un medico, e non l’avrebbe neppure denunciato, per evitare lo scandalo e gli inevitabili dubbi sulla sua virilità. Appena chiuso il portone alle loro spalle, gli disse di cominciare a riprenderla. Camminava nei lunghi corridoi del palazzo pochi passi davanti a lui, per farsi riprendere meglio, e teneva la gonna alzata per mostrare bene il suo tondo sedere sodo in movimento. Aspettando l’ascensore si fece fare qualche foto con la maglietta sollevata a scoprire le tette. In cabina, si fece filmare mentre gli slacciava i pantaloni e glielo succhiava golosamente per nove piani. Non ebbe neanche la preoccupazione tipica di chi non vuole farsi sentire rientrare a notte fonda, di scendere al piano inferiore e salire a piedi silenziosamente. In quel momento, l’idea di farsi vedere dal marito mentre veniva sfondata, la eccitava. Uscita dall’ascensore, si sfilò le braccia dalla maglia e la abbassò fino alla vita. Così facendo, si era creata una cintura in cui poter infilare la gonna per tenerla sollevata. Nuda senza essersi spogliata, appoggiò le mani agli stipiti della porta di casa sua. Si fece fotografare con le gambe divaricate, le braccia distese e la schiena arcuata, per mostrare bene il pozzo di San Patrizio che aveva fra le cosce. Con la testa girata verso l’obiettivo con espressione arrapata e provocatoria, si afferrò le chiappe e, aprendole, offrì alla vista l’entrata che voleva profanata. Lui le porse il telefono, in modo che potesse continuare a riprendere da sotto mentre lui affondava la faccia nel suo sedere per baciarlo e prepararlo alla penetrazione. Dopo averlo fatto rilassare con la lingua, il primo dito, ben insalivato, non ebbe difficoltà ad entrare, tantomeno ne incontrò il secondo. Ora era lui a riprendere, dall’alto. Senza sfilare le dita, si spostò di lato per permetterle di prenderglielo in bocca. Si stavano preparando entrambi.

“Dai, sfondami il culo!”

Lo disse guardando dritta in camera, forse più rivolta al marito che a lui. Stava scoprendo che anche il sesso per dispetto, a volte, può essere erotico ed eccezionalmente gratificante. Quando, in seguito, rivide le immagini del cazzo che entrava ed usciva dalle sue chiappe, la mano forte e abbronzata che la teneva ferma, sentendo i mugolii trattenuti, ma ben registrati, che aveva emesso mentre veniva penetrata si ricordò che, non inquadrata, si era infilata in fica le dita centrali della mano e se la teneva stretta con il clitoride nel palmo. Le piaceva sentirlo entrare ed uscire lentamente, percepirne la punta farsi strada dentro di lei, sentirsi piena di cazzo, ma ora aveva bisogno di un ritmo più sostenuto che lui, senza compromettere la stabilità delle riprese, non poteva sostenere. L’ascensore venne chiamato e il rumore improvviso li fece trasalire. Lei si accorse che, in fin dei conti, non aveva intenzione di essere interrotta da nessuno, né dal marito né dal figlio dei vicini che, probabilmente, stava rientrando. Salirono al piano di sopra, quello delle terrazze condominiali e non raggiunto dall’ascensore, il posto più discreto del palazzo, soprattutto a quell’ora. Per un attimo, le balenò l’idea di coinvolgere anche Marco, il suo vicino ventenne, ma il rischio che una trasgressione dettata dal risentimento potesse diventare una pretesa da parte di un ragazzo pieno di ormoni e fantasie romantiche la fece desistere. Del resto, era il motivo per cui pagava un professionista, un estraneo, per realizzare le sue fantasie senza complicazioni emotive o relazionali. Prima di decidere, però, voleva una conferma. Scese una rampa di scale, fermandosi sul pianerottolo fra i due piani, per riuscire a vederlo senza farsi scoprire. Lo osservò mentre, di schiena, usciva dall’ascensore e raggiungeva il tappetino davanti la porta. Senza rendersene conto, mentre era accovacciata a gambe divaricate dietro la ringhiera della scala, aveva cominciato a toccarsi. Le spalle larghe e muscolose, il sedere sodo e tonico, il fisico asciutto e atletico del ragazzo glielo facevano visualizzare nudo facilmente e volentieri. Si vide inginocchiata davanti a lui, con il suo fallo enorme a riposo a pochi centimetri dalla sua faccia. Lo sognava enorme, ebbene sì, nelle fantasie le piaceva esagerare. Fece in tempo a formare il desiderio di averlo, ma non riuscì ad immaginare come avrebbe potuto sfruttare tutto quel ben di Dio, perché lui sparì nel buio dell’appartamento e dietro la porta che si chiuse, lasciando fuori quella che sarebbe potuta essere la realizzazione di tante sue fantasie adolescenziali sulla vicina esuberante. Mentre risaliva le scale verso il cazzo reale che aveva noleggiato, pensò che prima o poi ne avrebbe potuti noleggiare due o, addirittura, tre. Oppure poteva farsi accompagnare in un club per scambisti. In quel momento si sarebbe fatta scopare da una squadra di rugby o da un reggimento. Lui la stava aspettando seduto sull’ultimo gradino, masturbandosi per non correre il rischio di dover ricominciare da capo, conscio che non sarebbe stato facile al termine di una giornata così impegnativa. Si era spogliato, approfittando dell’intimità data dalla lampadina fulminata che confermava l’assenza di frequentazione notturna del pianerottolo, così poteva invitarla a sedersi fra le sue gambe ben aperte per riceverla comodamente all’interno. Lei appoggiò il sedere sulla sua pancia, costringendolo a sdraiarsi con la schiena sul pavimento, e si mise il pene fra le cosce aperte. Gli dava le spalle, per cui non poteva vederla mentre si ammirava cazzuta, nel senso letterale del termine, né mentre ci giocava come se fosse realmente il suo. Per capire che lo stava usando come un pennello sulla fica non aveva bisogno di vedere, invece. Coprendolo con una mano dall’alto, lo tenne fermo fra le labbra, muovendo il bacino per stimolarsi il clitoride con la cappella. Si era bagnata abbastanza, era spalancata e pronta a riceverlo. A dire il vero, se lo prese e con una certa voracità, si potrebbe dire che lo risucchiò dentro. Strinse i muscoli della vagina e glielo serrò con la fica come fosse una mano. Allentò la presa e cominciò a muovere il bacino su e giù, con le mani appoggiate sulle sue gambe per sostenersi. Lui aveva iniziato a riprenderla da quando stava ancora sbirciando il giovane desiderio proibito che rincasava e non aveva ancora smesso. Stava inquadrando il suo sedere, ancora più bello e perfetto in questa posizione, il suo cazzo che sbucava fra i due corpi quando lei si sollevava e che poi rientrava tutto dentro di lei quando si riabbassava. Per inquadrarle il volto, con la mano libera le infilò due dita in bocca e la costrinse a girare la testa. Quando lei capì le sue intenzioni, sfoderò il suo sorriso più malizioso e si mise a succhiare le dita con la stessa voluttuosa passione con cui avrebbe succhiato un cazzo. Non inquadrata, quasi di nascosto, solo per lei, stava toccandosi il clitoride mentre, interrotto il movimento del bacino, si godeva il suo ventre pieno della sua verga dura, che lui le muoveva all’interno. Lui la fece sollevare leggermente, seguendola nella salita per non uscire da lei, quel tanto che bastava a permettergli di gestire lui i movimenti. La stantuffò dal basso in alto velocemente, entrando bene fino in fondo ogni volta per poi uscire quasi del tutto mentre lei, con la scusa di evitare proprio l’eventualità che potesse uscire fuori per sbaglio, teneva una mano sopra la fica strofinando, incidentalmente, anche il clitoride con il palmo aperto. Prima che fosse per lui troppo tardi e per lei troppo presto, si fermò per farle cambiare posizione. La fece mettere con i piedi uno sul pianerottolo e l’altro sul secondo scalino, piegata in avanti con la schiena e le braccia distese per reggersi alla ringhiera. Lui la prese da dietro, inquadrandola dall’alto mentre sputava sul suo sedere per lubrificarle il buco e aprirlo con un dito. Si accorse che lei si stava bagnando contemporaneamente sia davanti che dietro, per cui capì che era giunto il momento di spostarsi nel buco a favore di camera. Lo riprese bene, mentre delicatamente ma decisamente si faceva largo in quell’orifizio, apparentemente così stretto, fino ad entrare tutto. Non si mosse subito, lasciò che si abituasse qualche secondo prima di cominciare a sfondarla. Iniziò lentamente, dentro e fuori, per poi darle una botta improvvisa e profonda, seguita da una serie sempre più intensa. Per tenerla ferma con una mano sola, la cinse sul fianco fino a mettere la mano dove pensava di trovare la fica vuota. Fu allora che si accorse che si stava masturbando con discrezione, “chissà da quanto” si chiese. Lei non si fermò e lui le fece compagnia portando da tre a sei il numero di dita che la riempivano. Ma era venuto il momento di concludere degnamente questa giornata eccezionale. Spense il telefono per avere le mani libere, e perché ormai era una cosa fra loro due e non c’era bisogno di testimoni, si rimise seduto sul primo gradino e lei salì a cavalcioni su di lui, cingendolo con le gambe. Le era entrato dentro senza che nessuno dei due avesse dovuto aiutarlo con le mani, lo stava aspettando spalancata. Lei gli mise le braccia intorno al collo per stringersi a lui e schiacciargli il seno sul petto, lui la afferrò per i fianchi cercando di sincronizzare i loro movimenti, ma lei impose il suo e quindi la lasciò libera di muoversi. Lei si strusciava sul suo ventre, stimolandosi dentro e fuori con velocità sempre più crescente. Si aggrappava alla sua schiena fino ad infilargli le unghie nella carne, cosa che lui si meravigliò di apprezzare. Vennero insieme, quasi in silenzio. Immediatamente si cercarono le bocche, per baciarsi mentre l’orgasmo continuava. Restarono così abbracciati finché non si resero conto che il pavimento di marmo era duro e scomodo. Si rivestirono in silenzio, sfiniti e svuotati. Lui, finalmente, poteva abbassare il livello di eccitazione e rilassarsi, lei aveva soddisfatto quasi tutte le sue fantasie ed aveva scoperto quali di queste erano destinate a restare tali. Inoltre, lei aveva raggiunto alcune conclusioni sulla vita che avrebbe voluto, d’ora in avanti, e la maggioranza riguardavano il rapporto con suo marito. Ora non aveva più quella rabbia che provava prima, se avesse dovuto farlo avrebbe detto che gli faceva pena, che lo compativa, lo conosceva da così tanto tempo e così bene da sapere perfettamente come e perché era diventato quell’ometto che non stimava più come prima, lo giustificava quasi, sicuramente lo comprendeva, probabilmente l’avrebbe perdonato, forse avrebbe provato a liberare anche lui dalle inibizioni non necessarie. Quel che era certo era che la sua vita non sarebbe più stata la stessa, lei non era più la stessa. Non era più disposta a nascondere le sue fantasie, né a vergognarsene con il marito, magari non le avrebbe più realizzate ma non era più disposta a negarle, a reprimerle, e se a lui non andava bene, allora era lui a non andare bene per lei! Fu così, mentre lo schermo da 42” nella sua camera da letto era riempito dal suo culo sfondato da un anonimo cazzo sulle scale di casa, che lei scoprì di avere un marito guardone. Ecco perché aveva quella mania di collegare la videocamera al televisore per guardarsi mentre scopavano! Si vergognava talmente tanto, al pensiero di eccitarsi guardando sua moglie sbattuta da altri, che reprimeva le sue fantasie per evitare di dover confessare anche le proprie. Ma, come il culo di Alessia, il vaso di Pandora era stato aperto e i muri eretti dal senso di colpa cattolico erano caduti come le mura di Gerico. Scoperto il mondo della prostituzione maschile, il marito trovò un buon compromesso fra il rivolgersi ai conoscenti, con le conseguenze del caso, e il rimorchiare degli sconosciuti, con i rischi del caso, e propose di usufruire insieme del servizio, per goderne entrambi. Non si rivolsero mai a lui, l’artefice della loro ritrovata sintonia, ma scelsero su internet i maschi che l’avrebbero sfondata e fatta godere sotto i suoi occhi: non voleva che il marito li vedesse insieme, che capisse quanto fosse diverso da lui, che realizzasse di non averla mai soddisfatta pienamente, che si accorgesse di non essere mai stato desiderato allo stesso modo. Scegliendo gli stalloni in base alla loro prestanza fisica, lei se li chiavava o si faceva chiavare senza passione o coinvolgimento personale, a seconda della fantasia che aveva elaborato con il marito mentre guardavano le foto sullo schermo, scoprendo il gusto di eccitarsi fantasticando insieme. Una volta fecero persino l’amore, dopo aver preso l’appuntamento anche se, a dire il vero, fu lei che gli saltò addosso eccitata dalla telefonata. Dopo le prime esperienze, dove il marito provò ad unirsi anche lui, decisero di comune accordo che si sarebbe limitato a guardare senza intervenire. L’idea di chiamare due bull per farle provare appieno l’esperienza della doppia penetrazione venne ad entrambi in maniera naturale. Quando lei chiese una gang bang, decisero che fosse giunto il momento di uscire di casa e frequentare i club privé, se non altro era più economico. La complicità che si era creata fra loro due, non solo la riempiva di orgasmi che prima si limitava a sognare, ma aveva reso il legame più forte di quanto non fosse mai stato da quando erano sposati. L’intimità fra le loro perversioni compensava l’assenza di quella fra i loro corpi.



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