L’uomo che sapeva amare. Capitolo 8: Giulia

Contiene scene di sesso esplicito, si sconsiglia la lettura ai minori.

Foto di Danielle Levitt tratta da crumbsmagazine.wordpress.com

Venerdì, Giulia. La settimana di fuoco stava per finire, ma non sentiva il peso del tour de force a cui si era concesso. Le clienti che si erano succedute rappresentavano, ai suoi occhi, le varie sfaccettature di una donna sola o, meglio, di un uomo solo, lui. Senza rendersene conto, le aveva selezionate con l’intento di soddisfare le proprie esigenze emotive molto più di quanto lui avrebbe soddisfatto i loro bisogni. Quello che lo distingueva dalle sue clienti, in effetti, non era la quantità delle relazioni o del sesso praticato, nessuno impediva loro di darsi da fare anche con altri uomini, no, la vera differenza era solo economica: loro potevano pagare per avere amore a cottimo, lui aveva bisogno di amore e denaro, un incastro perfetto. Del resto, i soldi non avevano mai compromesso la sincerità delle emozioni che provava e provocava a sua volta.

Aveva lasciato Sandra verso mezzogiorno, era una bella giornata e ne approfittò per fare una passeggiata nel parco sotto casa per cancellare i ricordi della notte appena trascorsa. Giulia era una golosa della vita, mangiava e scopava con la stessa energia con cui rideva, non poteva presentarsi da lei con quella chilata di depressione che gli era rimasta attaccata addosso. L’allegria dei bambini che giocavano chiassosamente e la passione che le coppie adolescenti esibivano senza pudore erano quello di cui aveva bisogno, in più c’era lo spettacolo dei cani che si sfidavano a rubarsi una bottiglia di plastica contesa. Uscì dalla villa al tramonto, accompagnato dai custodi che avrebbero chiuso i cancelli: gli piaceva rimanere fino all’ultimo, restare il solo a condividere con gli alberi la pace e il silenzio di cui loro avrebbero goduto fino all’alba del giorno dopo. Così rigenerato e affamato, bussò alla porta di Giulia con un profiterole in una mano e un coloratissimo mazzo di gerbere nell’altra. Non seppe dire quali dei due presenti lei avesse gradito maggiormente, se erano stati soddisfatti più gli occhi o la gola, di sicuro aveva catturato la sua benevolenza senza aver ancora fatto o detto nulla. Lei, d’altronde, lo accolse con una scollatura tale da far sporgere il reggiseno che conteneva un seno più che prospero; il resto del corpo era coperto dal grembiule da cucina che arrivava sopra le ginocchia, lasciando scoperte le gambe fasciate da calze nere che, sebbene non avessero alcun motivo o ricamo, erano estremamente sexy forse, anche, grazie alle scarpe dal tacco alto. Solo quando arrivarono in cucina e lei gli passò davanti si accorse che indossava un corto babydoll di seta, nero anch’esso, che finiva subito sotto i glutei mostrando un elegante reggicalze ed un pezzetto di ciccia nuda. Ora il grembiule da cucina era diventato un capo molto erotico. Seduto su uno sgabello dall’altro lato del piano di lavoro ad isola nel centro della cucina, la osservò cucinare e camminare sui tacchi alti ondeggiando l’enorme sedere. Sin dal primo incontro, era stato affascinato da questa donnona di novanta chili alta circa un metro e settantacinque centimetri, dalla tranquillità con cui usava quel suo corpo mastodontico, dalla leggerezza con cui lo muoveva, dalla naturalità con cui lo mostrava. Più che grassa, la si sarebbe definita grossa: la natura le aveva regalato un fisico ingombrante, ma le aveva risparmiato smagliature e cellulite. In compenso, era stata generosa in ironia e gioia di vivere.

Era seduto, con un bicchiere di vino in mano, che la guardava impastare gli gnocchi e pensò alla cena di ventiquattro ore prima. Sapeva che sarebbe stata più naïf, meno raffinata e più godereccia, ma non avrebbe mai immaginato quanto fosse erotico preparare gli gnocchi. A cominciare dalle patate che uscivano sensualmente dai fori dello schiacciamedesime, alle uova simbolo universale della fertilità femminile, fino alla fusione dei corpi nudi quando le mani affondavano nell’impasto. Non riuscì a resistere e si mise dietro di lei, inizialmente abbracciandola con passione e baciandola sul collo e sulle labbra, poi unì anche le sue mani all’impasto, giocando ad inseguire ed afferrare quelle di lei. Quelle quattro mani affondavano nelle patate come se fosse una patata gigante, venivano avvolte come dalle grandi labbra, le dita entravano nella vagina calda e umida, la esploravano e ne riuscivano, poi l’afferravano per le chiappe e la rigiravano per prenderla anche da dietro. Quando Giulia sentì crescere il bozzo appoggiato al suo sedere, capì di non essere l’unica ad essersi eccitata. Si pulì grossolanamente le mani, prima di girarsi per prenderglielo in bocca. L’asta era già abbastanza grande da faticare ad uscire dalla cerniera, così gli slacciò la cinta e gli calò i pantaloni fino al ginocchio impedendogli qualunque movimento. Le mani umide scorrevano velocemente dalla base fino alle labbra che circondavano la cappella. La lingua, poi, lo ripuliva fino alle palle e si ricominciava da capo. Al terzo giro, però, decise di farlo venire nella sua bocca. I fiotti possenti le schizzarono lo sperma contro il palato e in fondo alla gola e dovette fare uno sforzo per non ingoiare istintivamente. Si alzò con la bocca piena, lo guardò con un’espressione birichina, si girò, fece colare lo sperma sull’impasto e lo amalgamò al resto. In pochi istanti aveva già formato le file e si accingeva a tagliare gli gnocchi, mentre lui stava ancora riallacciandosi i calzoni. Anche questa operazione rivelò una connotazione erotica inaspettata: quei lunghi cazzetti pieni del suo sperma che venivano fatti a cubetti gli davano la sensazione di sentirsi evirato. Glielo disse.

“Non è così, non lo sto tagliando ma moltiplicando, così posso prenderlo in bocca tante volte anziché fare un boccone solo…”

Lo disse con una malizia che lo fece sentire un po’ ingenuo per non aver pensato a quanto la sua gola fosse davvero profonda.

La suggestione, più che il sapore, resero la cena un orgasmo per il palato. Quante volte si sono confusi i termini fra il sesso e la tavola, usando espressioni come “questo piatto è un orgasmo” o “ti mangerei”? Quella sera non erano figure retoriche. Per cui, quando lei annunciò che il dolce l’avrebbero mangiato a letto, lui non ci trovò nulla di strano. Le traverse impermeabili sul materasso gli suggerirono l’idea che non si sarebbe trattato di un dolce al piatto. Il babydoll di Giulia scivolò sul pavimento del corridoio prima di raggiungere la camera così, entrando, poté informarlo che “per cominciare, la biancheria è commestibile” e si offrì a lui sdraiandosi. Il reggiseno e le mutandine sparirono in pochi morsi, quindi lui prese il cioccolato caldo che era vicino al letto insieme ad altre golosità e glielo versò sui seni come fosse cera bollente. Con un dito pieno di gelato alla crema disegnò un cerchio intorno ai capezzoli al cioccolato, facendole provare un eccitante contrasto che venne subito spento dalla sua lingua che ripulì tutto con voracità, succhiando a fondo le ciliegine di carne che aveva fatto inturgidire. Prima di scendere verso l’ombelico, affondò la faccia nelle sue ascelle: il sapore salato del sudore erotico era quello che ci voleva, come un sorbetto fra le portate di carne e di pesce. Ora poteva assaggiarla anche fra le cosce. La afferrò per i fianchi e ci si tuffò per assaporarla al naturale, poi le allargò le labbra e le riempì di panna montata. Un denso succo di amarena scivolò lentamente dalla pancia fino al monte di venere, per poi sparire sotto la panna e fra le cosce. Per lei fu come una piuma che la sfiorava, per lui fu il miglior variegato all’amarena che avrebbe mai mangiato. Aveva sempre amato leccare la fica, ma stavolta avrebbe voluto fondersi con lei, sparire al suo interno eccitante e goloso, trasferirsi a vivere in quella casa di marzapane. Fu lei ad interromperlo, non prima di esser venuta.

“Ho voglia di banana split.”

Da un lato lo coprì con la panna, dall’altro con il cioccolato e sulle palle il gelato alla crema. Si sdraiò sul letto con la testa che le sporgeva dal bordo, così da poterlo ricevere più facilmente tutto in bocca, e riuscì ad arrivare fino a mangiare anche il gelato. Quando la bocca e la gola di Giulia furono piene, restò fermo dentro di lei e le chiuse il naso con due dita finché non vide le sue guance diventare rosse. Allora lei si tirò su, lo fece sdraiare al centro del letto, lubrificò entrambi con il succo d’amarena e salì su di lui per scoparlo. Ma non era l’orgasmo, il suo scopo, bensì preparare un’altra portata speciale a base di cazzo, fica e sciroppo, così ruotò su stessa per consentire ad entrambi di gustare un dolce sessantanove. Fu lui, stavolta, a volerla prendere per una robusta pecorina. Le mani che le schiaffeggiavano le enormi chiappe moltiplicavano gli schiocchi delle stantuffate, dando soddisfazione anche all’unico senso escluso dal cibo, l’udito. Si interruppe per non venire, incurante di quanto lei fosse vicina al climax, e la girò facendola sdraiare sulla schiena, nella più canonica delle posizioni. La osservò come se fosse una torta, con lo stesso desiderio di affondarci la faccia, e si tuffò con il viso fra i seni fino a farsi mancare il respiro. Era confortevole tutta quella sua morbidezza, gli piaceva sentire le mani afferrare bene la ciccia, affondarci le dita. Se la sarebbe mangiata, appunto. Abbracciarla gli piaceva, era così tanta da rendere difficile cingerla bene e questo le conferiva una sorta di inafferrabilità esistenziale: non era possibile che un uomo la potesse considerare una sua proprietà, se non riusciva neanche a stringerla. Non comunicava quell’idea di fragilità che spinge certi maschi, a cui le madri non hanno insegnato il rispetto delle donne, ad essere possessivi e violenti, semmai sarebbe stata la roccia su cui poggiarsi. Certo, il carattere forte e indipendente, lo stesso carattere che le permetteva di essere fiera del suo corpo, giocava il suo ruolo non secondario, ma a livello inconscio tutto si riduceva alla possibilità o meno di sottomissione fisica e, con lei, non era affatto scontata. Quindi, ora, dominarla dall’alto, schiacciarla con il peso del proprio corpo, bloccarle le mani sopra la testa, costringerla a ricevere i suoi affondi su tutto il corpo, tutto questo assumeva la valenza di un’inversione dei ruoli. Prese le manette che lei aveva già fissato alla testiera e le chiuse intorno ai suoi polsi; per sicurezza, le legò le cosce ai lati del letto, in modo che potesse piegare le ginocchia ma non potesse chiudere le gambe. Ora, come contrappasso dantesco, la lussuriosa avrebbe fatto un’indigestione di piacere; prima, però, le bendò gli occhi, così che l’attesa e la curiosità amplificassero i sensi rimasti. Non dovette attendere molto prima che due dita si facessero largo nella sua bocca. Le labbra percepirono qualcosa di cremoso e umido che le ricopriva, la lingua svelò che erano ricoperte di cioccolata e tutta la bocca si trasformò si trasformò in una fica affamata. Non era come ricevere un ditalino né come leccare un gelato, ma le due cose insieme: era più simile alla versione erotica di Willy Wonka e si stava perdendo nella sua fabbrica di cioccolato. Le dita continuarono a fotterle la bocca finché la saliva non le ripulì del tutto e le lubrificò bene, poi si insinuarono nell’altro paia di labbra, quelle in basso, di nuovo aperte e bagnate, mentre la sua lingua prendeva il loro posto ripulendole il viso dai residui dolci. Quello che lo eccitava, in questo momento, era il controllo dei muscoli vaginali che lei usava per serrargli le dita in una morsa come se fossero ancora in bocca, ma senza i denti. Non aveva mai incontrato una donna dalla fica carnivora ed ora si trovava con l’indice ed il medio alla sua mercé. Vicino ai cibi da sesso, Giulia aveva disposto anche tutti i suoi sex toys, facilmente raggiungibili allungando un braccio e fu quello che lui fece senza farsene accorgere. Quando il massaggiatore clitorideo si accese improvvisamente, le scappò un urlo che si trasformò rapidamente in gemiti, per poi tornare a farsi sentire con sporadici acuti intervallati da profondi sospiri e questo le fece allentare la presa. Ora le dita nella vagina potevano muoversi liberamente e spingevano dall’interno verso il vibratore, portandola a squirtare ben prima del previsto: era una che sapeva lasciarsi andare sia a tavola che a letto ed aveva imparato ad eiaculare ben prima che i pornografi americani lo insegnassero a tutti. Sapeva anche fare la pipì in piedi, ma questa era un’altra storia e riguardava la sua voglia di travalicare i limiti imposti dalla fisica del suo fisico. Limiti che lui voleva farle superare, per cui, mentre ancora stava schizzando, lui sostituì le dita fradice con il vibratore più grande che era riuscito a trovare e lo accese al massimo della velocità, muovendolo su e giù con furia. Le sue urla di piacere si fecero ininterrotte, e lui tirava fuori il fallo elettrico per farla spruzzare solo quando raggiungevano i toni più acuti e lo reinseriva subito dopo. Gli orgasmi si susseguivano senza soluzione di continuità diventando uno solo, lungo, continuo, diffuso e profondo al punto di scuoterle tutto il corpo come in preda alle convulsioni. Si fermò un istante prima che lei perdesse i sensi, lasciandola semi-svenuta per pochi secondi, giusto il tempo di posare gli strumenti e scendere con la bocca a succhiare le ultime gocce dell’acqua sacra. Un brivido le percorse la schiena, i muscoli finalmente si rilasciarono e lei si addormentò mentre lui, dolcemente, le leccava la fica esausta.

Riaprì gli occhi pochi minuti dopo, quando lui le tolse le manette. I due volti erano talmente vicino che lei non aspettò di essere liberata, allungò il collo fino ad arrivare a mordere delicatamente il suo labbro inferiore.

“Mi sei mancato, guai a te se ti fai venire un’altra crisi!”

E strinse i denti per fargli capire cosa l’avrebbe aspettato. Il morso si trasformò in bacio.

“Per fortuna sai come farti perdonare. È stato… così totalizzante… credevo che sarei uscita dal mio corpo insieme a tutti i fluidi.”

Le guance stavano tornando al loro colore naturale, ora le gote erano solo leggermente rosate, le pupille erano ancora dilatate, invece, e del celeste dei suoi occhi non c’era traccia.

“In verità, il merito è quasi tutto tuo: hai un tale controllo del tuo corpo, che puoi usare dei muscoli che neanche sapevo che esistessero con la stessa facilità con cui ti lasci andare e ti abbandoni al piacere. Quello che ti ho fatto, non fraintendere, non è nulla di speciale. Senza offesa, l’ho fatto anche ad altre donne ma nessuna mi ha mai dato la soddisfazione che mi hai dato tu. Vederti godere così mi ha fatto sentire realizzato, è il motivo per cui faccio questo lavoro. Ed è frustrante incontrare donne che non sanno lasciarsi andare, che hanno paura di godere troppo. Dovremmo farlo più spesso!”

Aveva infranto sia la regola sacra per ogni professionista, “non sminuire mai il proprio lavoro”, che quella della sua categoria, “far sentire uniche le clienti e non parlare mai di altre donne”, ma le endorfine che aveva contribuito a produrre nel cervello di Giulia gli vennero in soccorso e lei registrò solo i complimenti. Ridendo all’idea di ripetere altre e altre volte l’orgasmo totale, così l’avrebbe chiamato, gli afferrò con entrambi le mani quello che era diventato un pisello barzotto e lo riportò allo splendore di verga pronta ad essere usata. Non perse tempo e se lo infilò dentro, come se quelli di prima fossero stati solo dei lunghi preliminari. Lui non si mosse subito, voleva farglielo desiderare ancora un po’, dare il tempo alla sua vagina di prendere le misure e adattarsi alla sua forma. Lei strinse i muscoli per sentirlo meglio e per affermare una certa sua supremazia. La fica si apriva e si chiudeva intorno al suo cazzo, a lui sembrò quasi che fosse dotata di una propria volontà e si eccitò a pensare che quella meravigliosa entità voleva lui per essere soddisfatta, nonostante gli orgasmi multipli da cui veniva. Giulia la scopò con dolcezza e trasporto, ma con la sua fica stava facendo l’amore. Lei iniziò a venire quando si accorse che i movimenti esterni si erano fermati ed aveva iniziato a muoversi solo il cannone a sperma che aveva dentro. Dopo i primi spasmi preparativi, i fiotti caldi la fecero sentire farcita come una torta di crema e raggiunse l’orgasmo insieme a lui. Restarono così, uno dentro l’altra, a godersi reciprocamente, ogni tanto un leggero movimento di uno dei due ravviva il piacere, e allora condividevano un brivido che li faceva abbracciare più stretti. Si mossero solo quando il soldatino si sgonfiò soddisfatto e svuotato anche dell’ultima goccia. Lei raccolse con le dita quello che le fuoriusciva e lo portò alla bocca per leccarlo con voluttà. Lui la baciò prima che potesse ingoiare, condividendo con lei anche l’ultima portata di quella serata porno-gastronomica. #pornfood



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