Nella vita, tutti noi vorremmo avere un ombrello per ripararci quando piove o per appoggiarci quando siamo stanchi; se l’ombrello è bello o particolare, queste caratteristiche le sentiamo un po’ nostre in quanto abbiamo scelto di portarlo con noi. In pratica, ci sentiamo protetti e pronti ad affrontare il maltempo e, contemporaneamente, gratificati dal lato estetico.
Ma cosa accade quando, al posto di un ombrello, ci viene regalato un libro?
La prima reazione più comune e spontanea è di restare delusi, in un secondo momento le reazioni si differenziano: c’è chi rifiuta il libro e lo mette nel dimenticatoio o lo ricicla regalandolo a qualcun altro; c’è chi rifiuta l’idea che non sia un ombrello e ci si ripara ugualmente la testa; c’è anche chi lo considera solo come un oggetto solido e lo usa come spessore sotto un mobile, per fermare una porta o per accendere il fuoco; infine, in rari casi, dopo la delusione iniziale, accettando il fatto di avere fra le mani un libro e non un ombrello, la curiosità porta ad aprire il libro, a sfogliarlo e, magari, anche a leggerlo tutto e scoprire che si tratta di un manuale che ci insegna ad accendere un fuoco, a costruire una casa e un letto, a procurarsi il cibo e, in appendice, c’è una guida illustrata su come si costruiscono gli ombrelli!
Non importa se abbiamo rifiutato il libro perché non era un ombrello, se lo abbiamo accettato ma continuiamo a vedere un ombrello, se accettiamo che non sia un ombrello ma ignoriamo cosa sia o se accettiamo semplicemente il fatto di avere un libro e non un ombrello. In ogni caso, vedendo il libro al posto dell’ombrello, la delusione è la prima emozione provata! Ma da cosa nasce la delusione? È inevitabile? Facciamo una diagnosi differenziale e procediamo per esclusione.
Per prima cosa, abbiamo tre soggetti: noi, il regalo e chi ce lo ha fatto. Cominciamo dal regalo. Chi soffre di reazioni violente ma sa controllarle se la prenderà con l’oggetto, pensando e/o pronunciando in separata sede frasi simili a “che cazzo ci faccio?” o, nei casi più estremi, lanciando l’oggetto e/o rompendolo. Ma possiamo attribuire ad un oggetto la responsabilità di essere quello che è? Direi proprio di no, al massimo potremmo prendercela con chi lo ha creato, con chi lo ha commercializzato o con chi lo ha comprato, di certo non con l’oggetto!
Questo ci porta al secondo soggetto, colui che ci offre il dono. Chi soffre di reazioni violente e non sa controllarle se la prenderà proprio con lui, ponendogli domande simili a “che cazzo ci faccio?” o, nei casi più estremi, lanciandogli contro l’oggetto stesso seguito da una serie di improperi. Ma, anche in questo caso, mettiamoci dall’altra parte: stiamo facendo un regalo e non abbiamo il dono di leggere la mente degli altri, quindi siamo costretti a basarci sulle informazioni di cui disponiamo, ad adattarle alla nostra sensibilità e al nostro gusto e, infine, cercare l’oggetto che più si avvicina a tutte le esigenze, sperando di riuscire a trovarlo. Alla fine, si dice che il pensiero è quello che conta! Diciamo che l’impegno, spesso, compensa… Ma il senso di tutto ciò è che non sappiamo, quasi mai, cosa veramente gli altri vorrebbero ricevere. Anzi, toglierei il quasi: i desideri più profondi o sono ignorati o tenuti ben nascosti. Tutti noi desideriamo qualcuno che soddisfi le nostre più intime necessità spontaneamente, senza bisogno di chiedere o spiegare.
E questo ci ha portati direttamente al terzo soggetto coinvolto, noi. Avendo escluso la responsabilità del dono e del donatore, la nostra delusione non può che essere causata da noi stessi. Sono proprio quei desideri più intimi e profondi a condizionarci: aspettarci che chiunque possa esaudirli è già, di per sé, utopistico. Nella vita, forse, incontreremo solo una persona che sappia, possa e voglia soddisfare le nostre intime necessità. In realtà, anche questo ci pone in una condizione di sudditanza perché, se e quando incontreremo la nostra complementarietà, faremo di tutto per non perderla, fino a perdere noi stessi.
Quindi, riassumendo, la delusione nasce quando ci aspettiamo che il donatore ci regali esattamente quello che desideriamo, come se fosse dovuto e scontato, senza prendere in considerazione null’altro. A volte, quando la realtà è estremamente lontana dai bisogni affettivi o emotivi, si possono persino negare tutti gli aspetti che non coincidono con le nostre esigenze, arrivando a costruirsi uno scenario mentale che giustifichi la realtà senza aderirvi. È il caso delle vittime di violenza domestica, che arrivano a giustificare le botte come forma particolare di amore e protezione, ma questo è solo il caso più evidente e riconosciuto. In realtà, capita molto spesso di essere ciechi davanti a fatti che metterebbero in discussione il castello di idee con il quale interpretiamo la realtà: quante persone si lamentano di uno stile di vita troppo stressante, ma si ribellano ogni volta che gli si prospetta un punto di vista sul mondo che gli garantirebbe uno stile di vita più intimamente gratificante? Quante persone hanno costruito la loro vita su ideali effimeri come l’apparenza o vivono una vita basata su quello che potrebbero pensare gli altri? Quante di queste persone sono disposte a cambiare mentalità pur di soffrire meno? Eppure sarebbe semplice, basterebbe essere onesti con se stessi, conoscere le proprie esigenze emozionali e cercare di soddisfarle mettendole in primo piano rispetto al resto. A volte basterebbe essere coerenti e mettere in pratica quello che si dice a parole, altre volte può essere sufficiente fare quello che ci fa star bene senza pensare a cosa direbbero “gli altri”. In ogni caso, smettere di aspettarci che il mondo funzioni come vorremmo è un buon punto di partenza per proseguire verso l’amare noi stessi e rispettarci, accettando quello che ci viene offerto come una cosa in più rispetto a quello che ci siamo guadagnati da soli. Sembra facile perché, in realtà, lo è davvero.
In questo quadro, molto vicino alle filosofie orientali, risulta evidente che vivere il momento per quello che è, senza aspettarsi che sia diverso, è l’unica soluzione per non avere delusioni. Le aspettative sul soddisfacimento delle esigenze intime diventano degli obiettivi da raggiungere con le nostre forze, uno scopo di vita, una meta verso cui tendere. Ogni nostro gesto sarà indirizzato verso quella direzione o, comunque, non ci farà mai andare dalla parte opposta ai nostri desideri. Faccio un esempio: quando ci relazioniamo con un bambino, se abbiamo chiaro in mente che tipo di adulto vorremmo che diventasse, ogni nostro gesto e nostra parola rivolti verso di lui avranno come obiettivo l’adulto che sarà, anche quando agiremo di impulso. (Dando per scontato che si sia coerenti con se stessi…)
A conti fatti, si potrebbe sintetizzare dicendo che le aspettative devono trasformarsi in curiosità, i sogni in accettazione della realtà e i desideri in mete da raggiungere.
Sembra facile essere felici! E lo sarebbe pure, se non si considerasse affatto l’amore e tutti quei sentimenti e quelle emozioni che si provano quando si ama e, ancor di più, quando si è amati. Per non parlare di quando l’amore è reciproco! Come si può far finta di niente quando finisce, quando manca? Non è un gelato, non possiamo rinunciarci e non esiste un surrogato valido! Come si può raggiungere il distacco buddista dalle cose, quando si tratta di emozioni? Star bene con se stessi, essere soddisfatti di quel che si ha, non cancella il fatto che siamo stati meglio, che in due è più bello, che l’essere umano è un animale sociale e che da solo impazzisce!
Torniamo al nostro libro e al nostro ombrello. Finora abbiamo focalizzato l’attenzione su di noi e sul regalo, cercando di predisporci ad accettare sia il libro che l’ombrello con lo stesso spirito, anzi a sorprenderci del fatto che riceviamo un regalo. Abbiamo lavorato su noi stessi per non aspettarci l’ombrello e abbiamo letto il libro. Ma non ci siamo accorti che il vero regalo, la fortuna più grande, è l’aver trovato qualcuno che ci conosca talmente bene da sapere che abbiamo bisogno di un ombrello ma, anziché regalarcene uno, ci regala la possibilità di imparare a costruirne quanti ne vogliamo e come li vogliamo! Queste sono le persone di cui dovremmo circondarci, non quegli ansiosi repressi insoddisfatti distratti superficiali egoisti che eravamo anche noi quando rifiutavamo il libro. E questo ci porta di nuovo alla domanda: come possiamo stare in pace con noi stessi quando ci sono emozioni che derivano dall’interazione con gli altri? Peggio: una volta provate quelle emozioni totali ed universali che chiamiamo Amore, come possiamo accettare di non provarle più? In altre parole, possiamo evitare che la mancanza di amore ci renda tristi? Se ognuno di noi bastasse a se stesso, ci estingueremmo in pochi anni?
Non è concepibile una vita senza amore ma, per star bene, non dovremmo desiderarlo! Mi sa che siamo arrivati al nocciolo, al dualismo dello Yin e dello Yang: il bianco e il nero, il maschile e il femminile, i due opposti, combaciano perfettamente e si compenetrano a vicenda. Quello che non dicono è che ci vuole quello che, in termini filosofici, è chiamata “BOTTA DI CULO”: trovare una metà di cerchio del colore giusto, della misura giusta, con un lato tutto curve, un buco, un pallino che sporge, che si incastri perfettamente con noi e che abbia anche voglia di farlo… Non è un caso se ci fanno vedere sempre e solo il simbolo del Tao: è l’unico caso in cui i pezzi hanno combaciato!
L’amore è come un biglietto della lotteria: le probabilità sono contro di te ma, se non compri il biglietto, non hai nessuna speranza. Alla fine, resta solo una questione di culo…
Scritto inedito di clacclo. Riproduzione vietata.

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