L’uomo che sapeva amare. Capitolo 1: Silvia


Scritto inedito di clacclo. Riproduzione vietata.

Contiene scene di sesso esplicito, si sconsiglia la lettura ai minori.

Foto da Pexels.com

I minuti che precedevano l’appuntamento erano la parte più difficile dell’incontro: doveva convincersi di essere in grado di soddisfare tutte le aspettative che aveva creato nella cliente. Iniziava immaginando l’arrivo, il primo approccio, quello che avrebbe potuto dirle e quello che avrebbe potuto rispondergli e cercava di capire quali sarebbero potuti essere i possibili scenari e come gestirli. Entrava in uno stato mentale simile a quello di un atleta prima di una gara, cercava di diventare cinico, razionale, concentrato, eccitato. Tutto il contrario di quella che era la sua indole passionale e romantica che però, oltre a non essere richiesta se non come gioco di ruolo, rischiava di compromettere il rapporto con le clienti: innamorarsi era un lusso che né lui né loro potevano permettersi, sarebbe stato disastroso.

Ormai aveva citofonato, il punto di non ritorno era stato superato. Mentre raggiungeva l’appartamento, le domande che gli frullavano in testa erano sempre le stesse: come sarà vestita? quale sarà il suo umore? sarà giocosa o romantica? sarà rilassata o nervosa? sarà vogliosa o piena di sensi di colpa? Certo, con la frequentazione i dubbi si affievolivano, ma una giornata storta o la voglia di sfuggire agli schemi potevano sempre capitare e voleva essere pronto a qualsiasi scenario. Anche lui, del resto, a volte voleva essere usato come un oggetto mentre altre volte voleva che lei si abbandonasse totalmente a lui. E questa era un’altra delle cose a cui doveva pensare: come l’avrebbe trattata, con complicità, con sottomissione o dominandola? Più che altro, doveva conoscere bene il proprio stato d’animo del momento e regolarsi di conseguenza: aveva capito che, nel sesso come nella vita, fare una cosa controvoglia equivale spesso al fallimento dell’impresa o a risultati non soddisfacenti e una cliente non l’avrebbe di certo apprezzato.

Quel giorno, comunque, si sentiva abbastanza tranquillo e rilassato, nonostante fosse il primo appuntamento con lei. Si erano incontrati in un bar, il giorno prima, ed avevano parlato quasi un’ora. Quando aveva capito che Silvia era stata a lungo trascurata, che aveva bisogno di qualcuno che pensasse prima di tutto a lei, le aveva proposto un massaggio. Era il suo asso nella manica, l’arma segreta con cui rompeva il ghiaccio con le donne più indecise. Quando lei dimostrò interesse alla proposta, lui capì che era disposta a lasciarsi andare, a farsi guidare, e questo gli semplificava le cose. Certo, i ripensamenti dell’ultimo momento erano sempre possibili, ma era convinto che non ci sarebbero stati, che lei avesse davvero bisogno di sentirsi al centro delle sue attenzioni.

Suonò il campanello, lei aprì senza esitazioni. Si salutarono senza toccarsi, solo un profondo scambio di sguardi. Del resto, una stretta di mano sarebbe stata troppo formale e un bacio troppo intimo. Con lo sguardo, invece, si erano detti tutto: “non ho cambiato idea, lo voglio”, “sono qui per mantenere le promesse”. Che altro avrebbero potuto dirsi, senza scivolare nel patetico o nell’imbarazzo?

Gli offrì un caffè, che accettò per andare incontro ai suoi tempi. Lui, essendo entrato in modalità professionale, sarebbe anche andato dritto al sodo, ma per lei era la prima volta ed aveva bisogno di essere messa a suo agio. Bastava guardare come aveva preso dal pacchetto quella sigaretta e con quale frequenza si seguivano le boccate, per capire quanto fosse nervosa. Quando uscì il caffè, si sedettero intorno al tavolo per berlo ma, approfittando della sua seconda sigaretta di seguito, lui si alzò e si mise dietro di lei. Iniziò poggiandole le mani sulle spalle, muovendo solo i pollici fra le sue scapole e alla base della testa, in attesa di percepire la sua reazione, poi iniziò a massaggiarle il collo e le spalle. Lei gradiva le sue mani dalla forza controllata, la dolcezza con cui le dita avvolgevano i suoi muscoli tesi e la forza con cui li scioglievano. Dopo averle scostato il colletto della camicia le mise le mani sulla pelle e quello fu il primo vero contatto intimo, che gli fece capire come lei ne provasse piacere, calore anche. Fu quindi naturale che lui, con un sussurro vicino alla guancia così che lei potesse sentire il suo fiato sul collo e nell’orecchio e provare un leggero brivido di piacere, le dicesse:

“Andiamo di là?”

E la prese per una mano per guidarla, senza aspettare la risposta. Lei si alzò senza parlare e lo seguì per un paio di metri. Era casa sua, era lei che doveva fare strada, e questo provocò una situazione inaspettata: era lei, ora, che lo portava per mano nella sua camera da letto!

La fece sdraiare ed iniziò a massaggiarle la schiena e le spalle da sopra i vestiti, continuando quello che aveva iniziato in cucina. Non voleva forzare i tempi, e preferì aspettare che fosse lei a volersi far spogliare, ma non dovette aspettare molto. La camicia se la tolse da sola quasi subito poi, dopo qualche altro massaggio, le chiese se poteva slacciarle il reggiseno. In realtà, erano quasi domande retoriche, non voleva che si sentisse costretta o forzata. Poco dopo le fece togliere anche i pantaloni, per poterle massaggiare le gambe. Mentre lei finiva di spogliarsi, lui prese l’olio e poi le salì a cavalcioni sulle gambe, appoggiato con l’inguine sul suo sedere. Aveva delle mani grandi, forti, che si muovevano sui muscoli oleati di Silvia con il giusto vigore, dalle spalle alle braccia, fino alla punta delle dita. Sentiva come se le uscisse la tensione dai polpastrelli. Lei aveva avuto due fremiti, il primo quando la sfiorò fra il seno e l’ascella, fra la paura del solletico e il desiderio di sentire il proprio seno nella sua mano; quando le mani scesero all’altezza dei reni, sopra l’elastico delle sue mutandine molto caste, ebbe il secondo fremito. Lui evitò il sedere e continuò sulle cosce. La pelle di lei era bellissima, liscia e tesa, sembrava abbronzata ma era la sua carnagione naturale. Le cosce, rassodate da chilometri di corsa, erano il proseguimento perfetto di un sedere altrettanto sodo, anche se certamente non lo si sarebbe definito piccolo. Le massaggiava l’interno coscia, avvicinandosi e allontanandosi dai glutei. Lei era già pronta ad andare oltre, ma lui non aveva fretta. Continuava a fingere di volerla solo massaggiare, di non avere intenzioni maliziose, anche se le mani si avvicinavano sempre più alle mutandine e al mistero che serbavano. Le sue mani emanavano un’energia calda che pervase entrambi e lui dovette togliersi la maglia. Ora erano quasi alla pari. Lui, risalendo lungo le gambe, tornò con le mani sulla schiena di lei. Quando arrivò alle spalle, era col suo petto nudo sulla sua schiena. Era sdraiato su di lei, le soffiava sul collo, la massaggiava con il suo intero corpo. Si tolse anche i pantaloni (la cinta dava fastidio e la stoffa sfregava), ora erano davvero alla pari. Lui la sorprese, chiedendole se fosse disposta a girarsi, mentre lei già pensava che l’avrebbe presa da dietro. Non aveva smesso il ruolo del gentiluomo e lei si sciolse del tutto. La faceva sentire rispettata, ascoltata, considerata. Lui la cosparse di olio e riprese il massaggio, sempre con quel modo di fare professionale che le permetteva di non sentirsi costretta ad andare fino in fondo: in ogni istante, poteva sempre alzarsi e dire “grazie, va decisamente meglio!” e interrompere tutto senza imbarazzi. Ma non lo fece. Anzi, rispose con uno sguardo positivo allo sguardo con cui lui le chiedeva il permesso di sfilarle le mutandine.

Era una situazione inedita, per lei che l’aveva fatto quasi sempre per dovere, come cantava Guccini: era lui a prendere l’iniziativa, ma era lei che dava il consenso. Aveva avuto poche esperienze, prima del lungo matrimonio da cui era appena uscita, per cui era tutto o quasi una cosa nuova, dai lunghi preliminari a base di massaggi con l’olio fino a quello strano rapporto in cui lui prendeva le decisioni con il suo permesso. Non lo sapeva ancora, ma era la base su cui si basa il bondage: il controllo che esercita il legato sul legante. In fondo, lui non faceva altro che fare proposte che lei accettava, nulla di particolare, ma per lei era una novità persino nella vita, figuriamoci a letto.

Toltele le mutandine, però, lui non chiese più il permesso. Scese dall’ombelico fino al clitoride sfiorandola con le labbra, facendole sentire il suo respiro sulla pelle, poi con la lingua le aprì le labbra, sia le grandi che le piccole. Le riempiva tutta la fica con la lingua, mentre il naso strusciava sul clitoride e l’aria le provocava dei brividi di piacere. Era bagnata e spalancata dal desiderio provocato dal lungo massaggio, ma lui la trattò ugualmente con delicatezza e gradualità, baciandola come se fosse una bocca. Ogni tanto la mordicchiava per provocare quella sensazione mista di piacere e dolore, ma preferiva usare le labbra e la lingua, magari se la infilava tutta in bocca e succhiava, oppure fingeva di entrarle dentro con il naso. La stava scopando con la bocca, anzi con tutta la faccia.

Si sollevò per baciarla sulla bocca, per farle annusare il suo stesso odore, per farle sentire il sapore dei suoi umori. Mentre la baciava, una mano risalì dal ginocchio tutto l’interno coscia, facendola fremere nuovamente. Quando arrivò alla fine, il pollice si trovava sul clitoride mentre l’indice e il medio le aprirono le labbra e, delicatamente, la penetrarono. Le dita si muovevano in maniera indipendente l’una dall’altra al suo interno, dandole piacere su tutta la parete vaginale. L’altro braccio, intanto, l’aveva portato dietro la sua schiena, aiutandola ad inarcarla, mentre le dita da dentro cercavano di toccare il pollice che era ancora sul clitoride. Era come se l’avesse in pugno, il suo piacere era tutto nelle sue mani e le sue mani sapevano decisamente cosa fare! Quando, poi, il pollice fu sostituito nuovamente dalla lingua, lei ebbe il primo orgasmo di quel pomeriggio.

Ora era lei che voleva ricambiare e gli tolse i boxer. Era già duro, ovviamente. Lo guardò per qualche secondo, lo sfiorò con le labbra, era emozionata anche lei. Anche lei, certo, perché non importa quante volte sia successo, quando una donna si avvicina dalle parti del pene gli uomini fremono sempre per un misto di desiderio e di paura di venire troppo presto. Ma questa volta non ebbe molto tempo per preoccuparsi, perché lei lo prese in bocca quasi immediatamente. E lui scoprì, nonostante la sua esperienza, di non essere il solo a provare sensazioni mai provate prima. Le sue labbra carnose, scure, erano così morbide e calde, così accoglienti e sensuali allo stesso tempo! Non importava che il suo cazzo fosse interamente nella sua bocca, ciò che lo mandava fuori di testa erano le sue labbra! Era veramente sorpreso. Provava la sensazione di essere interamente avvolto da quelle labbra, tutti i suoi 190 cm di altezza erano nella sua bocca, non solo il suo uccello. Pensò che mai, prima d’ora, si era sentito protetto e al sicuro come se fosse tornato nell’utero. Non avrebbe mai voluto uscire dalla sua bocca, lasciare quelle labbra. Ma non era ancora il momento di venire, quindi si concentrò su di lei e cominciò a masturbarla mentre lei continuava a baciarglielo. La cosa funzionò così bene che ora voleva essere scopata sul serio.

Prima in posizione canonica a gambe spalancate, poi con le gambe di lei sulle proprie spalle, poi sul fianco e infine da dietro. Non la scopava in modo automatico, ritmico, ma in maniera dolce, lenta, facendoglielo sentire fino in fondo o facendoglielo desiderare entrando solo con la punta, per poi darle una scarica di colpi veloci. Ogni volta che la posizione glielo consentiva, le accarezzava il clitoride con le dita, facendole emettere larghi sospiri di piacere, mentre gli schiaffi sui glutei le facevano fare degli urletti di piacevole sorpresa. Non si parlavano, ma si guardavano negli occhi e le lingue erano attratte l’una dall’altra. A volte si scordavano di quello che accadeva fra le gambe e giocavano con le bocche, sfiorandosi con le labbra, facendosi desiderare e concedendosi, mordicchiandosi, succhiandosi, annusandosi, baciandosi sul collo o sulle orecchie. Ma quello che la fece impazzire di più fu quando lei gli montò sopra e guidò il gioco. Chiuse gli occhi e non ci fu più nessuno oltre lei, la sua fica e il suo piacere. Ora non si limitava a permettere, ora era lei che pretendeva, che prendeva. E questo, disse poi, non le era mai capitato prima. Sotto di lei ci poteva essere chiunque, in quel momento esisteva solo il suo piacere. Probabilmente, l’avere il controllo totale della situazione e dei movimenti le provocava un piacere ulteriore, più mentale che fisico, che, sommato a quello che si stava prendendo da quel dildo vivente, le faceva provare la sensazione di navigare nell’oceano dei sensi. Gli afferrò le mani e se le mise sui seni per sentirsi ancorata a terra, un filo che le permetteva di volare in alto facendola sentire sicura. Le piaceva sentirsi nelle sue mani, afferrata, stretta. Non era solo il senso di protezione, a piacerle, né la dimostrazione di forza virile, era un sentimento più complesso: era la sensazione di essere desiderata, di piacergli, che lui non voleva perderla, che era disposto a proteggerla, a difenderla. La faceva sentire importante, desiderata, accettata. E la passionale forza con cui le manipolava i seni, la delicatezza con la quale sfiorava i suoi capezzoli o quando glieli afferrava con due dita e li stringeva, ma soprattutto quando glieli prendeva in bocca e li baciava, mordicchiava, succhiava, le fecero provare un orgasmo da una zona per lei inattesa. Non era la prima volta che gliele toccavano, ovviamente, e le era sempre piaciuto, ma non le era mai capitato di provare una sensazione di piacere così intensa da paragonarla ad un orgasmo. Quando lui, ancora sotto e dentro di lei, si aggrappò ai suoi fianchi per tenerla ferma mentre scivolava velocemente avanti e indietro, anziché su e giù, lo sfregamento del clitoride sul suo pube la fece venire così intensamente da trasformare i suoi gemiti in urla. Ma lui non si fermava, continuava a muoversi velocemente, lei fu costretta e prendersi i seni in mano per tenerli fermi. Il piacere non accennava a finire, anzi aumentava sempre di più nonostante fosse appena venuta. Si rese conto che non era esattamente così, l’orgasmo non era ancora finito, stava ancora godendo, le sembrò di essere venuta di nuovo e continuava a crescere il piacere. Quando anche lui raggiunse l’orgasmo e la riempì del seme caldo, lei venne un’ultima e definitiva volta, poi si accasciò esausta e felice su di lui.

Quello del pagamento era, paradossalmente, il momento più difficile dell’incontro. Imparò presto, dopo le prime disastrose esperienze, che farsi pagare in anticipo non era sempre la scelta migliore. Aveva capito che c’erano due tipi di donne che, prevalentemente, si rivolgevano a lui: quelle che, dopo la fine di una storia, volevano affermare la propria libertà a partire da quella sessuale e quelle che, invece, cercavano di colmare il vuoto emotivo. Raramente gli erano capitate donne che avevano una relazione e, di quelle poche, quasi tutte volevano vendicarsi di un tradimento, ma la maggioranza delle sue clienti erano single ed il rischio del transfert emotivo era elevato. Per cui, nell’incontro preliminare, cercava di conoscere lo stato d’animo della donna, i suoi desideri reconditi, a quale dei tipi individuati apparteneva. Silvia era uscita da un lungo e fedele matrimonio, le sue esperienze fisiche ed emotive erano ridotte e standardizzate. Si fece pagare prima di andare via. Quel pizzico di umiliazione, dover pagare per un’esperienza così passionale, serviva per spegnerle l’illusione di una relazione o, addirittura, di un amore.

Silvia aveva bisogno di scoprire quello che, di bello, avrebbe dovuto aspettarsi da un uomo, a quale trattamento poteva ambire, quanto fosse gratificante ricevere le attenzioni del partner, sentire che il suo piacere non era secondo al piacere dell’uomo. Per questo, dopo l’esperienza romantica, le fece provare anche il sesso giocoso, divertente, quello in cui ci si sfida a chi fa godere di più il partner, quello in cui i ruoli dominante/dominato sono fluidi, interscambiabili. La portò al cinema, per farlo di nascosto nelle ultime file, lo fecero in macchina e all’aperto. Cercava di alzare il limite del suo pudore, di farla disinibire. Quando lei gli inviò una foto in cui si masturbava, lui capì che era il momento di renderla indipendente, autonoma. La portò a fare compere in un sexy shop. Si vergognava e fece resistenza prima di decidersi ad entrare, ma ne uscì con un dildo in plexiglas, un vibratore blu a forma di ippopotamo ed un ovetto vibrante con telecomando. Quando scelse il lubrificante che andasse bene anche per l’uso anale, sapendo che con suo marito non era mai riuscita a farlo, lui capì che il suo compito era quasi finito.



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