Parole parole parole

“Lo strumento fondamentale per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle parole. Se puoi controllare il significato delle parole, puoi controllare le persone che devono usare le parole.”

— Philip K. Dick, Come costruire un universo che non cada a pezzi dopo due giorni

Io sono cresciuto sentendo le storie degli italiani emigrati all’estero, in America o in Germania, poi sono arrivati da noi gli immigrati, polacchi e marocchini per primi, poi gli albanesi e tutti gli altri. Perché c’erano sempre un Paese che veniva lasciato ed un altro in cui ci si trasferiva.

Ora ci sono solo migranti, si è tolto il prefisso per fingere che non esista più un punto di partenza ed uno di arrivo, non c’è più una cultura di appartenenza, quella nella quale siamo cresciuti e ci hanno educato. Vogliono convincerci che non ci siano confini e differenze solo togliendo una sillaba, modificando una parola.

Ho conosciuto una donna somala molto influente nella comunità somala italiana perché ero amico di suo figlio e frequentavo spesso casa sua. Una sera l’abbiamo sentita che urlava contro il televisore: “Ma che vuol dire “di colore”? Che, sono viola? Sono NERA! NEGRA, se vuoi, ma non di colore!“. La presentatrice aveva avuto l’ardire, nel presentare un film, di dire “l’attrice di colore”… Anche in questo caso, cambiare le parole serviva a celare una realtà evidente per tutti, un’identità cromatica fortemente rivendicata, per creare un pregiudizio che prima non era venuto in mente a nessuno (se non a qualche sedicenne disagiato che aveva vissuto il fallimento educativo della famiglia, della scuola e della società tutta). Anche qui si sono cambiate le parole per cambiare chi le usava.

Il mio primo lavoro, a 17 anni, è stato mettere i volantini pubblicitari nelle cassette della posta. Il capogruppo (si era organizzati e strutturati, mica andavamo alla ventura!) era particolarmente sfacciato nell’esibire la sua “frociaggine”, si diceva così. Lui era il primo ad urlare “A FROCIO!” per insultare qualcuno ma, al contempo, quando parlava al telefono con i suoi amici non lesinava né a loro né a se stesso commenti affettuosi tipo “quanto sono/sei frocia!”. Tutt’oggi conosco omosessuali che si chiamano “frocio” fra di loro, senza nessuna accezione negativa. Oggi ho paura persino che l’algoritmo dei social mi possa censurare la parola se la scrivo. Dando a tutti i costi un’accezione negativa alla parola, anche in questo caso si è voluto creare un pregiudizio dove non c’era. Pasolini, Visconti, Mastelloni, Renato Zero, per citare i primi che mi sono venuti in mente, non sono mai stati visti come omosessuali, benché fosse di pubblico dominio che lo fossero.

Questi tre casi che ho portato come esempio, sono tutti riconducibili alla stessa parte politica dei me-too, degli antirazzisti, degli antifascisti, dei moralizzatori dei giorni nostri. La stessa parte politica che oggi, con il pretesto di favorire le minoranze, propone leggi per imporre il bavaglio a chiunque dissentisse da loro, con la scusa dell’“hate speech” e dell’odio in rete. Odio che hanno creato loro stessi, correggendo politicamente le parole a partire dagli anni ‘90…

È proprio il caso della famosa frase di Nanni Moretti in Palombella Rossa:

“Chi parla male, pensa male!”



Scritto inedito di clacclo. Riproduzione vietata.


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