Azione/Reazione ≠ Causa/Effetto

Quando compiamo l’azione di colpire con la stecca una palla da biliardo, la reazione è che questa si sposta. Se rotola sul panno, è a causa del fatto che la biglia è sferica ed il panno liscio. Se volessimo l’effetto di poggiarsi su lato o di strusciare sul panno, dovremmo usare un poligono anziché una sfera.

Tornando alla biglia, non è detto che vada nella direzione che volevamo: se non entra in buca, la causa è che non l’abbiamo colpita nel punto giusto e dobbiamo prendere meglio la mira.

In ogni caso, noi compiamo un’azione (il tiro) ed otteniamo una reazione (lo spostamento della palla), ma il risultato finale (l’effetto del tiro) dipenderà dalla causa (la mira).

Proviamo a trasportare questi concetti nelle relazioni interpersonali, che si tratti della cassiera del supermercato, del barista, di un amico, un collega, un familiare o il nostro partner non fa differenza: l’esito di tutte le interazioni è il prodotto delle azioni e delle cause degli attori coinvolti.

Facciamo un esempio pratico: noi siamo di buonumore (la causa, in questo caso, ma anche questo è l’effetto degli eventi precedenti) e l’effetto sarà quello di essere predisposti a compiere l’azione di sorridere alla cassiera che ci aspetta per passare le nostre cose davanti al lettore; nella maggioranza dei casi, la cassiera avrà la reazione di contraccambiare il nostro sorriso e, a causa del nostro gesto, l’effetto sarà di metterla di buonumore, almeno nei nostri confronti.

Fino a qui è tutto semplice, evidente e lapalissiano oserei dire, no? Ma, se la reazione fosse di ignorarci, di non ricambiare il nostro gesto di simpatia, a nostra volta avremo la reazione istintiva di considerarla antipatica. Questo accade perché non prendiamo in considerazione le cause del suo malumore. Diversamente, se in altre circostanze anche lei è stata sorridente e ben disposta, saremo naturalmente propensi a credere che abbia avuto una giornata storta e ci passeremo sopra.

Quando si tratta di estranei, di persone con cui abbiamo rapporti fugaci e superficiali, abbiamo il distacco necessario per essere comprensivi senza prendercela. Purtroppo, però, le cose vanno diversamente quando abbiamo a che fare con persone con cui abbiamo dei rapporti più stretti o più intimi. In questi casi, può capitare con estrema facilità che la nostra reazione istintiva ad una risposta sgarbata o nervosa sia dello stesso tono sgarbato e nervoso, anziché calmo e comprensivo. Certo, non sempre e non in tutte le circostanze, però molto più spesso di quanto faremmo con un negoziante che vediamo solo per il tempo necessario all’acquisto. Se il nostro stato d’animo è sereno, potremmo chiedere se va tutto bene o smorzare la tensione in vari modi, generalmente replicando con un nuovo e più grande sorriso o con una battuta. Finché noi siamo sereni, riusciamo a gestire una reazione diversa da quella aspettata e commisurata alla nostra azione iniziale, altrimenti rischiamo di rispondere anche noi a tono e iniziare una discussione che può sfociare in un litigio vero e proprio. E’ raro, molto raro, che ci si interroghi sulle cause che hanno avuto l’effetto di avere una brutta reazione, almeno a caldo. Poi, a freddo, possiamo cercare di comprendere lo stato d’animo del nostro interlocutore e cercare di parlarci e fargli tirare fuori le cose che lo turbano.

Ma, se fossimo dall’altra parte e ricevessimo come primo approccio un tono sgarbato o maleducato, la nostra reazione istintiva sarà quella di sentirci aggrediti e risponderemo di conseguenza nella maggioranza dei casi. Se lo stupore è grande, può capitare che si chiedano delle spiegazioni, che si cerchi di capire le cause di un simile atteggiamento.

In tutti questi casi, l’effetto delle nostre azioni azioni o reazioni dipende dalle cause pregresse che ci portiamo dentro: possiamo aver avuto una giornata pesante, essere preoccupati o semplicemente stanchi o affamati. Il problema risiede nel fatto che, normalmente, non ci si interroga sul perché agiamo o reagiamo in una determinata maniera. Anzi, il più delle volte, scarichiamo sull’altra persona la responsabilità dei nostri comportamenti: “mi hai provocato”, “mi hai fatto arrabbiare prima, quando hai detto o fatto quella cosa”, “ti sei posto male” e via dicendo… Ma queste sono solo scuse per evitare di assumerci la responsabilità del nostro comportamento!

Se aggrediamo, in senso lato, o reagiamo ad un’aggressione con la stessa intensità, la colpa non è dell’altra persona ma nostra che non siamo abbastanza sereni e consapevoli per essere comprensivi e smorzare la tensione. Torniamo all’esempio iniziale: abbiamo lo scopo di comunicare qualcosa (fare entrare la palla in buca), quindi compiamo l’azione di parlare\sorridere\abbracciare (colpiamo la palla), l’altra persona ci risponderà (la palla si sposta); a questo punto, l’effetto potrà essere positivo (la palla va in buca) perché ci siamo posti nella maniera giusta (abbiamo preso bene la mira) oppure negativo (la palla prende lo spigolo della buca e rimbalza più o meno lontano a seconda di quanta forza abbiamo messo nel tiro) perché abbiamo sbagliato approccio (non abbiamo mirato). Quindi, dal punto di vista del tiratore o del primo attore dell’interazione, il tipo di reazione che si riceve e l’effetto che si provoca dipendono dalla nostra causa prima, l’intenzione di ottenere un determinato risultato.

Ne consegue che, innanzitutto, dobbiamo essere consapevoli di cosa vogliamo ottenere e perché: vincere la partita a biliardo, cioè provocare emozioni positive, o creare un contrasto, cioè perdere la partita. Si può anche decidere di perdere intenzionalmente, ad esempio nel caso in cui vogliamo far sfogare la tensione altrui: questo è il livello dei campioni che perdono la prima partita per alzare la posta sapendo che, alla fine, vinceranno, ma è un caso limite e ci vogliono molta intimità e affetto reciproci per non compromettere la relazione ed ottenere l’effetto voluto.

Quali che siano le nostre intenzioni, però, non dobbiamo e non possiamo trascurare l’aspetto più importante, cioè l’osservazione e la conoscenza di chi abbiamo davanti: se colpiamo una piramide o un cubo, difficilmente rotoleranno in buca a meno che non si posseggano delle capacità straordinarie, allo stesso modo dobbiamo capire lo stato d’animo dell’altro prima di decidere quale azione intraprendere. Come nel biliardo, per restare nella metafora, a volte è più conveniente rinunciare al tiro piuttosto che farne uno dannoso per noi, oppure possiamo decidere di non puntare ad imbucare nessuna biglia ma a mettere il pallino in una posizione scomoda per l’avversario. A volte, la difesa o la ritirata, come insegna Sun Tzu, non sono una sconfitta ma la preparazione di una vittoria! Ma tutto questo è valido solo ed esclusivamente se si conosce bene se stessi e l’altro, altrimenti gli esiti possono essere inaspettati e, il più delle volte, negativi.

Quello che vale per le relazioni interpersonali, dal momento che abbiamo un costante ed ininterrotto dialogo interiore con noi stessi, valgono anche quando siamo da soli: ad esempio, lasciare un lavoro, cambiare una casa, trasferirsi in un altro luogo o lasciare il proprio partner potrebbero non essere una sconfitta o una resa ma, semplicemente, una mossa tattica per ottenere quei risultati che al momento non riusciamo a raggiungere. Conoscere noi stessi e le cause che ci fanno avere certi atteggiamenti o provocano certe emozioni è fondamentale per agire nel modo migliore per ottenere da noi stessi e dalla vita le reazioni che vorremmo, cioè la serenità, l’autostima e il controllo sulle nostre emozioni negative e sul nostro comportamento generale.

In conclusione, quindi, dietro ad ogni azione e ad ogni reazione, che siano nostre o meno, quello su cui dobbiamo interrogarci prima di ogni cosa (anche dopo va bene, pure se sarebbe meglio farlo prima, basta che lo si faccia) sono le cause dietro l’effetto che ci porta a comportarci in un modo piuttosto che in un altro. Se ad uno schiaffo rispondiamo con un altro schiaffo, con un pugno, porgendo l’altra guancia, fuggendo o immobilizzando l’aggressore in attesa che si calmi o intervenga qualcuno, non dipende da altri che da noi stessi, dalle cause che ci portiamo dietro sin dalla nascita. Il problema è che, molto spesso, anche avendo delle buone intenzioni, siamo portati ad interagire con delle modalità che non corrispondono all’effetto che vorremmo ottenere, perché siamo condizionati dal nostro vissuto irrisolto, dai traumi che non abbiamo superato e da tutte quelle cose che non abbiamo elaborato a fondo o correttamente. Ovviamente, la reazione ad un input, diventa a sua volta l’azione da cui dipenderà un’ulteriore reazione, e via dicendo. Si comprende, così, quanto sia importante essere presenti a se stessi, conoscere tutte le nostre cause ed avere il controllo, per quanto possibile, dei nostri comportamenti, delle nostre emozioni e, soprattutto, dei nostri limiti e dei nostri difetti.


Scritto inedito di clacclo. Riproduzione vietata.


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