L’uomo che sapeva amare. Capitolo 7: Sandra

Contiene scene di sesso esplicito, si sconsiglia la lettura ai minori.

Giovedì, Sandra. Aveva circa vent’anni più di lui ma, come Madonna o Sharon Stone, il ritratto invecchiava al suo posto. La corporatura magra e minuta reggeva egregiamente il passare del tempo, aiutata da anni di sport e centri benessere, a riprova che una vita agiata è il miglior trattamento anti-âge finora trovato. I soldi non danno né la felicità né la salute, si sa, ma se usati bene aiutano decisamente a ridurre i fattori di stress e Sandra avrebbe potuto tenere dei seminari in proposito. Sul suo volto le rughe d’espressione intorno alla bocca, ma anche quelle intorno agli occhi, rivelavano che rideva e sorrideva la maggior parte delle volte e, al contempo, non c’era traccia di quelle da cruccio o preoccupazione come quelle in fronte, fra le sopracciglia o intorno al naso. Era sempre stata serena, nonostante non fosse stata esentata dal dolore, e tutta la positività si era stratificata mantenendo vivo il suo cuore da diciassettenne. La maturità non le aveva tolto la curiosità, la voglia di sperimentare, di scoprire, di assaggiare, ma le aveva regalato l’esperienza ed era un upgrade che lui apprezzava molto fra le lenzuola. A volte le chiedeva consigli ed era quasi sempre la prima a provare nuovi giocattoli o posizioni particolari, la sua tester personale, insomma. Parlavano molto, prima, durante e dopo il sesso, trattando con spessore qualunque argomento, anche quelli leggeri. Se in un angolo della sua testa non fosse rimasta annidata la speranza di avere un figlio, probabilmente sarebbe potuto stare insieme anche con lei. Nel pensarci, si accorse che avrebbe potuto dirlo per quasi tutte le sue clienti, anche perché aveva verificato che, nel caso contrario, si comportava in maniera distaccata e sbrigativa, mentre la sua etica professionale prevedeva una dedizione che non riusciva a donare senza che ci fosse anche una sintonia intellettuale. Gli piaceva flirtare, poco importava se lo pagavano, voleva comunque conquistarle, gratificarle, farle stare bene. I suoi modi erano confacenti alla bellezza che vedeva dentro di loro, ci si relazionava come se il loro cuore intimo fosse esposto in bella vista, come se tutte le loro potenzialità trovassero la massima espressione in quel momento. Le incoraggiava ad essere Donne, ad essere libere, ad amarsi e rispettarsi senza farsi condizionare da nessuno. Lo faceva senza parole esplicite al riguardo, solo trattandole con la giusta considerazione, dimostrandogli come sarebbe stata la loro vita senza i freni che le bloccavano fino al punto di dover pagare un professionista per avere un po’ di contatto umano. A dirla tutta, le chiacchierate preventive gli servivano per valutare se ci fosse ancora un cuore pulsante e la volontà di farlo risplendere, in caso contrario potevano rivolgersi a qualunque altro marchettaro sul mercato.

Del resto, si domandava spesso perché delle donne belle, intelligenti e benestanti avessero bisogno di pagare lui anziché, non dico farsi pagare, ma almeno usare il loro fascino per farlo gratis. Ognuna aveva una motivazione personale, anche se in comune avevano tutte il desiderio di essere sicure di ricevere una prestazione, in senso generale, all’altezza delle aspettative e garantita. Tutte, bene o male, avevano maturato una sfiducia nei rapporti con gli uomini, la convinzione che la delusione fosse una costante che presto o tardi si manifesta sempre. Per cui, per evitare ulteriori disillusioni e sofferenze, preferivano rivolgersi ad un libero professionista a chiamata al quale demandare il soddisfacimento delle loro esigenze del momento. Un po’ come andare dal parrucchiere, quasi lo stesso grado di intimità. Farsi cambiare l’aspetto e farsi inculare per bene donavano loro un appagamento personale simile. In entrambi i casi si affidavano ad un estraneo che avrebbe fatto per loro qualcosa che da sole non potevano fare, si auto-gratificavano per conto terzi, si facevano un regalo, si concedevano un capriccio. Anche se l’effetto dell’acconciatura durava decisamente più a lungo.

A ben vedere, la certezza del risultato era la conseguenza di un’altra cosa che le univa: erano tutte donne che avevano deciso di vivere appieno, senza rinunciare a nessuna parte di loro stesse e senza lasciarsi castrare da nessuno. Tutte avevano la forza di prendersi quello che gli spettava, senza fare sconti. Persino Claudia, il suo più grande errore di valutazione, rientrava in questa categoria, anche se lei aveva gettato via le chiavi della corazza e lui non era riuscito a scardinarla.

Sandra non era così, invece. Per lei era una vita inconcepibile, quella vissuta preoccupandosi di quel che pensano gli altri. Non capiva perché la gente si vergognasse delle cose che gli piaceva fare, perché un video sexy creasse scandalo, perché le persone provassero invidia anziché desiderio di emulazione. Soprattutto, non capiva perché il giudizio degli estranei fosse più importante del proprio. Si chiedeva perché le ragazze di certi video cambiassero città per l’umiliazione anziché intraprendere una carriera nel porno o nel mondo dello spettacolo in generale, visto il piacere che avevano provato facendosi filmare durante gli amplessi. Aveva sempre creduto che la vergogna fosse un sentimento stupido, da ipocriti: o fai una cosa perché ti va di farla o non la fai perché te ne vergognerai, non conosceva vie di mezzo. Certo, l’età e l’esperienza erano in parte responsabili di questo atteggiamento, senza tenere conto che aveva vissuto l’adolescenza e la formazione sessuale a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, cosa che lui le invidiava molto.

L’assenza di progesterone e di feromoni vari era compensata, quindi, da una mente erotica molto allenata e disinibita. Del resto, l’esistenza stessa della pornografia dimostra quanto il sesso possa essere molto più cerebrale che fisico, basti pensare a quanto sperma sia stato versato per circa un secolo guardando delle piatte fotografie bidimensionali in bianco e nero. Persino un film porno in 3D soddisfa esclusivamente il senso della vista e dell’udito, i sensi legati al linguaggio e quindi al pensiero, mentre l’olfatto, il gusto e il tatto, i sensi più fisici, istintivi e inconsci, non vengono affatto stimolati, eppure l’effetto è di eccitare ugualmente. Gli scienziati avranno pure scoperto che le donne, attraverso l’odore, sono attratte dagli uomini con il dna maggiormente compatibile con il loro, ma poi è la ragione che fa valutare se quel dna è anche desiderabile. Perché, le donne lo sanno, il pennello è importante ma chi guida il manico lo è ancora di più. E se una donna con la sua esperienza riteneva che le sue prestazioni meritassero un extra, oltre la parcella salata che esigeva, allora era il suo turno di essere gratificato. Stavolta fu lui che si paragonò ad un parrucchiere, pensando alle confidenze e all’amicizia che non impediscono la giusta remunerazione del lavoro svolto, e pensò di mettere un barattolo per le mance sul comodino. Ma poi si rese conto che non poteva portarsi il comodino dalle clienti e rinunciò anche al barattolo, visto che non sapeva più dove metterlo.

Quel giovedì Sandra lo attendeva per cena a casa sua. Aveva organizzato una serata romantica, con candele, aromatizzatori, caminetto e smooth jazz. Per tutto il tempo temette che volesse chiedergli di sposarlo, facendogli scappare delle risate mascherate da sorrisi che lei, se li avesse visti, avrebbe giudicato immotivati. Dopo l’ottima cenetta, si spostarono davanti al camino, dove lei si accovacciò sul tappeto, con la schiena appoggiata al divano. Si tolse le scarpe, giocando con i bellissimi piedi affusolati e dalle unghie smaltate, imprevedibilmente, di viola. Si allungò per raggiungere una scatola di legno intagliato da cui prese due canne già rollate e lo invitò a sedersi accanto a lei. L’adolescente figlia dei fiori tornava a galla. Le mise entrambe fra le labbra e le accese contemporaneamente, poi ne passò una a lui soffiandogli in faccia la doppia boccata di fumo. Chet Baker faceva sanguinare il silenzio con la sua tromba affilata.

“Cosa pensi di me? Come mi descriveresti ad un amico che non mi conosce?”

Gli chiese fissando il fuoco.

“Che sei tanto bella quanto intelligente e raffinata, che sei la donna che ogni uomo vorrebbe avere, con cui è bellissimo passare il tempo sia a letto che fuori…”

Fece una pausa, per farla gongolare un po’, poi continuò ridendo

“…e che sei un buon partito, vecchia e piena di soldi. Massimo una trentina d’anni e lasci tutto in eredità!”

E le diede una spallata di complicità.

“Magari anche meno… Sto parlando seriamente, che persona sono?”

Chiese nuovamente, stavolta con un tono ancora più grave di prima, se possibile. Lui si girò e si inginocchiò davanti a lei, prese il suo volto fra le mani e la costrinse a guardarlo negli occhi. Si avvicinò al suo viso senza smettere di sorriderle, stava per parlare quando

“Sei troppo vicino, non riesco a vederti bene. Lo hai detto pure tu, che sono vecchia! Allontanati un po’, così riesco a metterti a fuoco.”

Gli disse schernendolo. Si allontanò volentieri, neanche lui ci vedeva nulla e gli si incrociavano gli occhi, ma non poteva confessarlo.

“Sei una donna meravigliosa.”

Sceglieva le parole, voleva essere sicuro che il suo pensiero fosse inequivocabile.

“Finora ho sempre pensato che fossi una delle poche clienti a non avere spettri del passato a condizionarle, che fossi così bella e serena perché hai sempre vissuto con sincerità e consapevolezza, che sei sempre riuscita a godere del bello e del bene che la vita ti ha offerto. Ho persino pensato che avessi avuto esperienze buddiste o comunque legate alla meditazione e alla spiritualità, nonostante il lusso di cui giustamente ti circondi. Cosa ti prende, adesso?”

Mentre parlava, il tono di voce passò da dolce e confortevole a preoccupato.

“Mi sono resa conto che sono sola e non ho fatto nulla nella vita. Sono vecchia, hai ragione, e tutto quello che ho non me lo sono guadagnato ma l’ho ereditato quando sono morti i miei, bel culo eh? Avrei decisamente fatto il cambio: non erano ancora gli anni ’80 ed io ero già una venticinquenne yuppie ante litteram! Quello che avrei potuto realizzare era una famiglia, e invece mi ritrovo, quarant’anni dopo, a dover pagare un uomo per sentirmi ancora amata e desiderata. Devo riconoscere che, in questo, sei molto bravo, ma poi vado a dormire da sola e da sola mi sveglio.”

Mentre si confidava, gli occhi furono catturati dal fuoco che crepitava danzando davanti a loro, forse per nascondere quanto fossero lucidi, e continuò a guardare davanti a sé anche quando a parlare fu lui.

“Per quel poco che ti conosco, non credo che tu abbia vissuto senza provarci. Dimmi, quante volte sei stata convinta di aver trovato l’uomo della tua vita?”

La domanda la sorprese e si girò verso di lui prima di rispondere.

“Oggi ti dico una sola, ma all’epoca dei fatti l’ho pensato altre due volte, ma si scoprì che erano il calesse di Troisi…”

Sorrise amaramente.

“E perché è finita, la storia importante?”

Il sorriso sparì, lasciando il posto al vuoto.

“È morto il giorno prima delle nozze e dal dolore ho subito un aborto spontaneo. Ti è piaciuta la mia triste storia nera?”

Provò di nuovo ad abbozzare un’espressione sarcastica, ma le uscì solo una mezza smorfia, più simile ad un pianto trattenuto che ad un sorriso.

“Beh, sì!”

Lo guardò sorpresa.

“Se mi avessi raccontato di storie decennali con uomini sposati o di una predilezione per uomini anziani o problematici sarebbe stato decisamente peggio. Mi avrebbe rivelato che hai difficoltà relazionali e, probabilmente, l’avrei attribuito alla scomparsa prematura dei tuoi. Invece tu ci hai provato, c’eri persino riuscita, non ti sei tirata indietro e non hai responsabilità se non è andata bene. Ti assicuro che essere lasciati per un altro ti fa mettere in discussione molto ma molto di più. Scommetto che anche quelli che consideri fallimenti in altri campi, ti hanno visto fare con tutto l’impegno le cose giuste, ma è andato lo stesso tutto in vacca e per motivi che non potevi controllare. Ho ragione?”

Era spiazzata. Come aveva fatto a capirlo? Non gli aveva mai raccontato nulla, eppure la capiva così bene.

“Non l’avevo mai vista così, ma in effetti hai ragione. Il risultato, però, è che sono perseguitata dalla sfiga e non mi consola un granché…”

Aveva ritrovato l’ironia, era un passo avanti.

“Guarda che io non mi sono inventato nulla, e non ho la sfera di cristallo! Quello che so di te è solo ciò che mi fai vedere, quello che mi dici e come lo dici. Dovresti provare a guardarti da fuori, saresti orgogliosa di te anziché piangerti addosso. Secondo me, ti piaceresti così tanto da volerti scopare, potresti persino innamorarti. Hai mai pensato alle donne?”

Voleva fare lo spiritoso.

“Ho avuto una storia di otto anni, con una donna, tu che dici?”

Adesso era lui ad essere senza parole.

“Mi ha lasciata per un’altra. So benissimo quanto ferisce un tradimento e come ti uccide un abbandono. Non mi sono fatta mancare nulla: aveva anche due bambini che non mi ha fatto più vedere. Stai cercando di farmi piangere o di tirarmi su?”

Riusciva a sganciare le bombe più grandi e terminare con una battuta, e lo faceva con una naturalezza che disarmava l’interlocutore. Aveva elaborato tutto quello che le era capitato ed ora ne parlava con distacco, contenendo il dolore prima che si manifestasse. Era una forma di autodifesa che era stata costretta ad adottare per frenare la sua sensibilità: evitava attentamente di addentrarsi nei pensieri dolorosi; i dettagli erano la cosa più pericolosa quindi, quando apriva certe stanze della memoria, si affacciava velocemente senza accendere la luce e richiudeva subito la porta.

“Ora capisco perché vuoi sempre che ti lecchi la fica!”

Disse per sdrammatizzare.

“No, lo voglio perché sei tu. Non so come fai, visto che non ce l’hai, ma la lecchi meglio di una donna!”

Queste sono le cose che un uomo vuole sentirsi dire, ma non era mai stato uno che si adagia sugli allori:

“E delle tette che mi dici? Giuro che ancora non ho capito come e quando toccarle! Ad alcune fanno male, ad altre il solletico, altre ancora le vogliono maltrattate ed io non so mai che fare, vado per tentativi…”

Non si era mai aperto così con una cliente, tantomeno aveva mai confessato questa sua insicurezza, ma l’intimità di quel momento aveva abbattuto qualunque difesa.

“Ora sono io a capire perché devo sempre mettertele in mano! Ti svelo un segreto: noi donne usiamo il seno molto più della vagina. È il seno, che vi mostriamo per attrarvi, e lo esaltiamo con reggiseni e scollature, persino con il silicone, al solo scopo di sbattervelo in faccia. Vuoi sapere come toccare il seno di una donna? Osservala, te lo farà capire lei con l’abito ed il reggiseno che sceglierà, con la postura e l’atteggiamento che assumerà e, soprattutto, come se lo toccherà mentre, ad esempio, la baci di sotto. Oppure chiediglielo esplicitamente, fai prima e sei sicuro di non sbagliare, che con te non si sa mai…!”

La osservò mentre parlava, per mettere subito in pratica i suoi consigli, e si rese conto che il suo seno ridotto non aveva bisogno di reggiseni ed era difficile esibirlo nei décolleté. Però, a furia di fissarla, si accorse che l’assenza di reggiseno era anch’essa un messaggio: i capezzoli che spingevano contro la camicia bianca attraevano lo sguardo quanto e più di una scollatura procace e non era casuale. Aveva osservato abbastanza ed ora era curioso di vedere il passaggio successivo, cioè come se lo toccava. Lasciò cadere nel vuoto la sua battuta provocatoria e le sollevò la gonna per sfilarle le mutandine che, però, erano rimaste nel cassetto insieme al reggiseno.

“Una porca vestita da signora, quanto mi arrapi quando fai così…”

Le sussurrò mentre si avvicinava al suo viso per baciarla con passione. Mentre le lingue si abbracciavano, una mano la esplorava fra le cosce. Dovette raccogliere sul palmo un bel po’ di saliva, per compensare la secchezza dovuta alla menopausa ma, appena le dita iniziarono a muoversi all’interno della vagina, vennero lubrificate naturalmente dai fluidi del suo desiderio. Le tirò fuori e, aprendole a forbice, le infilò una per bocca così che entrambi potessero assaporare i suoi umori, poi la mano tornò da dove era venuta e riprese da dove aveva lasciato. Ma ormai l’odore della sua fica gli era entrato in testa e non resistette molto prima di sostituire le dita con la sua lingua. Senza smettere di leccargliela, le sfilò la camicia dalla gonna e le accarezzò il ventre, causandole un fremito a metà strada fra il piacere ed il solletico. Tentò di sbottonarla senza guardare, più che altro per spingerla a farlo da sola. Lei capì al volo e terminò rapidamente il lavoro scoprendo i seni per un istante. Appena liberi dalla camicia, li prese fra le mani aperte e li strinse a sé, poi i pollici si chiusero stringendo i capezzoli contro l’indice. Strizzò e torse quei bottoncini con una forza che lui non avrebbe mai usato senza un consenso esplicito ed parola di sicurezza; sembrava quasi che volesse punirsi per qualcosa e forse, in quel preciso momento, era proprio così: stava pagando il prezzo per il piacere che avrebbe provato di lì a poco. La sensazione di non meritare nulla di buono, il mood di quella serata, non l’aveva ancora lasciata del tutto. Lui si tirò su fino ad arrivare davanti al suo viso.

“Come te la cavi con le eccezioni?”

Non provò nemmeno a capire cosa passasse per quella testa e perché usasse la lingua per queste domande assurde anziché continuare a farla godere, si limitò a rispondere sorpresa:

“Bene, credo. Dipende dalle eccezioni…”

Non la lasciò finire.

“Perché a me, stasera, non va di lavorare.”

Ora si spiega perché non mi sta più leccando, pensò fugacemente prima che lui continuasse.

“Stasera voglio passare una bella serata con un’amica e, se lei non ha nulla in contrario, vorrei passarci anche la notte.”

Lo guardò sorpresa per un istante, prima di nascondere la sua commozione tirandolo a sé per la nuca e baciandolo con passionale riconoscenza. Aveva bisogno di sentirsi desiderata, coccolata, quasi amata e lui, in quel momento, stava rinunciando al suo guadagno per starle vicino ora che ne aveva bisogno.

“Se quello era un sì, che ne dici se ci spostiamo in camera da letto? Ho un sonno…!”

Gli rispose con un pugno sulla spalla, poi aggiunse:

“Peccato, pensavo di farti un pompino…”

Risero, come due compagni di giochi.

In camera ci arrivarono avvinghiati, lei in braccio a lui, con le gambe strette intorno alla sua vita e con le bocche affamate l’una dell’altra. La adagiò sul letto prima di sparire in bagno per alcuni minuti. Quando tornò, la trovò nuda che lo aspettava giocherellando con le dita sul clitoride. Le fece chiudere gli occhi e glieli fece aprire solo quando arrivarono davanti la vasca con idromassaggio che li aspettava calda e ribollente. Sulla mensola c’erano due calici appannati dal freddo spumante e una canna nel posacenere di marmo che li stavano aspettando. Le due pareti d’angolo che incastravano la vasca erano rivestite di specchi anti-condensa e il riflesso sempre nitido creava l’illusione ottica di una circonferenza completa, anziché di un solo spicchio quale realmente era.

“Abbiamo tutta la notte, che ne dici di godercela con calma?”

La fece entrare e si sedette al suo fianco, le passò il bicchiere, accese lo spinello e, dopo un paio di boccate, le diede anche quello. Fumarono in silenzio, guardando il loro riflesso che li guardava. A turno osservavano sé stessi e l’altro, si studiavano curiosi come se si vedessero nudi per la prima volta. Tolti di mezzo Bacco&tabacco, la fece sedere davanti a lui, fra le sue gambe, e le massaggiò il collo e le spalle, allungandosi fino al seno quando non riusciva a trattenersi dal baciarle il collo. I due che imitavano le loro mosse davanti a loro erano molto più sensuali delle coppie dei porno e presto le mani finirono dalle spalle all’inguine. Le grandi mani di lui sul suo corpo minuto la eccitavano e soddisfacevano il suo bisogno di sentirsi desiderata, la dolce lentezza con cui scorrevano sulla sua pelle bagnata la faceva sentire quasi amata. Si era spesso masturbata davanti a quegli specchi, ma vedere altre mani fra le sue cosce le diede la perversa sensazione di essere attore e pubblico di un segreto esibizionismo. La donna nello specchio si apriva e si concedeva al suo sguardo con un trasporto che la sorprese e la eccitò ancora di più. Lui la allargava e la esplorava facendo in modo di mostrargliela meglio possibile. Guardare la sua fica così le fece venire voglia di leccarsela, ma anche di farsela riempire. Si girò e salì su di lui, facendolo girare di novanta gradi in modo che potessero entrambi guardarsi in quelli che, ormai, avevano assunto la funzione di schermi cinematografici. Prima di farselo entrare dentro se lo strusciò sulla fica e sul clitoride, continuando quello che prima facevano i cinque micropeni della mano. Lui le passava furiosamente le mani fra i capelli mentre la baciava profondamente. Quando lei smise di giocare e si impalò, si abbracciarono stretti continuando a baciarsi, restando fermi a gustare tutte le sensazioni tattili della penetrazione. Lei ogni tanto si muoveva leggermente, sia verso l’alto che lateralmente, quel poco che serviva a mantenere l’attenzione e l’erezione ancora vive. Ad ogni movimento il desiderio di fottere e farsi fottere aumentava un po’ di più, mentre lo sforzo di autocontrollo di entrambi ne moltiplicava l’eccitazione. Dopo un tempo che sembrò lunghissimo, anche grazie all’erba che avevano fumato, uscirono dalla vasca senza staccarsi e la adagiò bagnata sul letto. Si rotolarono varie volte sulle coperte, più per la passione che per asciugarsi, alla fine si fermarono nella posizione della forbice. I bacini si muovevano sincronizzati e il clitoride sfregava sul pube donandole un appagamento pieno e diffuso. Finirono su un fianco, accucchiaiati, lui la teneva per i seni mentre le veniva dentro da dietro e restarono così fino al mattino dopo.

Il risveglio fu uno dei migliori di sempre, con un pompino che lo fece passare dal sonno al sogno. Quando il sangue affluì anche al cervello, non solo riuscì ad aprire gli occhi, ma decise di ricambiare il buongiorno. Iniziò ripulendo tutto lo sperma che era fuoriuscito e le si era seccato sulla pelle dalla sera prima, poi entrò con la lingua fra le grandi labbra, quindi la infilò nella vagina per aprirla e poi ne succhiò tutto il contenuto. Il sapore unito di sperma e fica arrivò dritto al cervello, aiutato anche dal puro odore di sesso che emanavano, liberando una scarica di piacere che gli diede la sensazione di aver finalmente provato la cosa più simile ad un orgasmo cerebrale. La testa gli girava inebriata e percepiva il resto del corpo come un unico terminale nervoso. Neanche lei era insensibile alla cosa, benché non poté sentirne gli aromi finché lui non salì a baciarla, e i suoi umori si aggiunsero a quelli preesistenti realizzando in un colpo solo i sogni di Süskind e di Monteiro: quello era il Profumo dei profumi ed il Sapore dei sapori, la fragranza dell’Universo ed il gusto della Vita. La afferrò per le cosce e la tirò a sé per penetrarla. Il cazzo entrò velocemente e tutta l’energia che la sera prima era stata trattenuta e controllata ora trovava libero sfogo nella furia con cui la stava sbattendo. Vennero insieme e quasi subito. Lui, svuotato, si accasciò al suo fianco, la testa sul seno, e si riaddormentarono fino a metà mattinata.



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