Contiene scene di sesso esplicito, si sconsiglia la lettura ai minori.
Martedì, Paola. Gli era stata mandata da un’amica analista per una non-convenzionale terapia riabilitativa dopo una relazione con un uomo violento. Non era la prima volta che collaborava con Valeria. Si erano conosciuti grazie ad una cliente in comune, anche se lei la chiamava paziente, che durante la terapia le disse che aveva capito ciò di cui parlavano nelle sedute soltanto nel momento in cui lui diede corpo e vita a quelle parole, dimostrando con la pratica la validità delle teorie. Il suo era un caso relativamente facile: veniva da una famiglia di testimoni di Geova che l’aveva cacciata di casa a diciassette anni perché era rimasta incinta e, per circa dieci anni, benché vivesse fuori da quell’ambiente, lei stessa aveva represso la propria sessualità convinta di essere stata punita per l’unica volta che le aveva dato sfogo. Essersi rivolta spontaneamente ad un professionista come lui, per superare i suoi blocchi con una terapia d’urto, era la prova della bontà del lavoro di Valeria.
Ora stavano collaborando per aiutare Paola a relazionarsi con uomini che la rispettassero. Dopo aver analizzato con lei come l’adolescenza con un padre violento l’avesse portata ad innamorarsi di un uomo brutale, Valeria arrivò al punto in cui sarebbe servita un’intimità che un analista non può avere, soprattutto una analista. Quello che lui vedeva, e gli analisti corretti no, erano le donne denudate dagli abiti e dalle convenzioni sociali, il lato più intimo delle loro personalità, quello che nascondevano agli altri ma che usciva fuori nelle preferenze sessuali. Se, con le mutande, erano in grado di recitare una parte diversa per ogni persona con cui si relazionavano, quando erano nude e volevano avere un orgasmo, assecondavano solo il loro io interiore e si mostravano per quello che realmente erano, senza infingimenti. Una buona scopata diceva di loro molto più di quanto potesse uscire da ore di analisi, ma le ore di analisi gli permettevano di capire perché scopavano in quel modo. Una cosa molto comune, ad esempio, che viene rivelata dal sesso, è la compensazione dei ruoli rispetto alla versione pubblica: una persona che tende ad imporsi sugli altri durante la vita diurna potrebbe avere un comportamento sottomesso di notte, così come chi sente di assumersi troppe responsabilità potrebbe compensare delegando il controllo in camera da letto. Le varie sfumature che esistono fra il semplice essere cavalcati, il farsi legare o bendare, il bondage, fino a diventare uno schiavo si rispecchiano nelle gradazioni che assumono le nostre relazioni sociali. Quello che i vestiti fanno non è altro che metterci letteralmente un costume con il quale ci confronteremo con gli altri; il sesso, grazie anche all’intima complicità che si instaura fra partner dalle esigenze opposte e complementari, toglie questa maschera inconscia dal volto e mostra il nostro vero io.
Valeria si trovava nella condizione di aver esplorato tutta la maschera di Paola e doveva capire quanto fosse in sintonia o in contrasto con quello che celava, quanto fosse fedele a se stessa, ed aveva chiesto aiuto a lui. Li aveva fatti incontrare nel suo studio, in sua presenza, per mettere Paola a suo agio e spiegare ad entrambi lo scopo di questa anomala integrazione terapeutica. Alla prima seduta pratica, gli era bastato schiaffeggiarle una chiappa, mentre lei era a pecorina, per capire che la negazione era più profonda di quanto desse a vedere. Ci sono eventi che, sebbene metabolizzati e razionalizzati, si imprimono nel nostro spirito di sopravvivenza cambiando il modo in cui vediamo noi stessi e gli altri. Il suono della mano che la colpiva aveva avuto la stessa reazione del suono del tappo che salta dalla bottiglia: come la schiuma che lentamente aumenta sempre più, fino a tracimare inarrestabile, così lei si lasciò andare e liberò i suoi istinti più reconditi chiedendo dapprima di usare più forza, successivamente di essere insultata e offesa, poi di torcerle i capezzoli e raggiunse l’orgasmo quando lui la inculò vigorosamente mentre le tirava i capelli e la riempiva di parolacce e sputi in faccia. Era evidente che l’autostima di Paola avesse bisogno di essere incoraggiata a venire fuori stabilmente: per quanto fosse forte e coraggiosa in tutto ciò che facesse, al punto di essere andata volontariamente in terapia da Valeria e ora da lui, la sensazione di inadeguatezza ai ruoli che, pure, ricopriva egregiamente e la convinzione di non meritare le gratificazioni che riceveva, la portavano a cercare le punizioni che, a suo dire, le spettavano. Maggiori erano i suoi successi, maggiori erano le umiliazioni e la violenza di cui aveva bisogno nell’intimità. Questa era la ferita che il padre le aveva lasciato nell’anima e che si era infettata. Finché si trattava di relazionarsi usando il linguaggio e razionalizzando, andava tutto bene e sembrava una persona equilibrata ma, come il linguaggio diventava quello naturale ed istintivo dei corpi, le cose cambiavano radicalmente. Ovviamente, era anche in grado di dissimulare i suoi desideri e fingere piacere durante i rapporti, ma non aveva senso tutto quello sbattimento per restare ugualmente frustrata e insoddisfatta.
L’obiettivo che si erano prefissati lui e Valeria era di portare gradualmente Paola ad accettare di non essere punita per i suoi orgasmi, quindi fu lui ad ospitarla questa volta, per avere la possibilità di preparare l’ambiente allo scopo. Appena fu entrata, chiuse rapidamente la porta e, prima che lei potesse dire nulla, le tappò la bocca con una mano mentre con l’altra l’afferrò per i capelli. Le ordinò di togliersi il cappotto, che le fece gettare per terra come fosse uno straccio, le liberò la bocca giusto il tempo di infilarci dentro una ball gag che poi le legò dietro la testa, dopo averle spinto la faccia contro il muro. Un istante dopo le stava tirando indietro le braccia per ammanettarla. La girò bruscamente per guardarla in faccia, per controllare che non fosse spaventata. Lei lo fissò con gli occhi imploranti “Ti prego, non smettere!”, poi la mascherina scese dall’alto e fu il buio. Aveva le mani legate dietro la schiena, una palla in bocca che le impediva di parlare, gli occhi bendati ed era in una casa che non conosceva, ma tutto questo, anziché spaventarla la eccitava terribilmente. Qualunque cosa le fosse successa, d’altronde, se l’era sicuramente meritata e nessuno avrebbe sentito la mancanza di una nullità come lei. E poi, razionalizzando, sapeva che nessuno uccide i propri clienti, sarebbe controproducente per l’attività. Quindi si lasciò guidare docilmente nell’altra stanza, finché non si arrestò urtando contro qualcosa. Diede per scontato che la mano che le spingeva la schiena, costringendola ad appoggiare il viso su quello che aveva capito essere un tavolo, fosse la sua anche se della casa aveva visto solo l’ingresso e non poteva sapere se fossero realmente soli oppure no. Questo pensiero le fece immaginare una platea di uomini che, silenziosamente, la stavano ammirando a novanta gradi su quel tavolo. Si accorse di avere un cuscino sotto la pancia, per coprire lo spigolo, e si sorprese per questa attenzione in contrasto con la rudezza usata finora. Improvvisamente sentì il freddo delle dita che afferravano le mutandine per l’elastico, senza che si fosse accorta di avere la gonna sollevata. Quando arrivarono alle caviglie, collaborò per sfilarle dai piedi. Lui rimase inginocchiato e le tolse anche le scarpe, lasciandola a piedi nudi sul pavimento di marmo. La fece girare, sempre in silenzio. Il giorno prima le aveva dato delle precise indicazioni su come si sarebbe dovuta vestire e lei, ubbidiente, si era presentata con un vestito con la chiusura sul davanti e senza reggiseno. Quando vide i bottoni automatici sorrise, ci sperava: per quanto sexy possano essere le chiusure lampo, e creare suspense i bottoni con le asole, niente è più eccitante dell’afferrare il vestito con due mani e aprirlo di colpo facendo scattare tutti i bottoni uno dietro l’altro! Ora era anche nuda. Legata, cieca, muta e nuda. Anche sorda? Non sentiva nulla, neanche un respiro. No, quello lo sentì. Ma non il suono, lo sentì sul monte di Venere, lo sentì scendere e fermarsi all’inguine. Pausa. E ora? La lingua si fece improvvisamente largo fra le labbra fino a raggiungere il clitoride, che venne risucchiato dalla bocca. Aveva ancora delle labbra intorno, ma più carnose e si muovevano così bene, oh sì, veramente bene, con la lingua che lo titillava mentre le labbra lo tenevano stretto. D’un tratto, una strana sensazione sul seno le fece provare un brivido che le attraversò tutto il corpo. Dovette tremare altre due o tre volte, prima di capire che si trattava di una piuma con la quale le carezzava i capezzoli mentre le ciucciava il clitoride e, un’altra novità, ora con due dita le stava esplorando la fica. Il pollice prese il posto della bocca e sentì che si tirava su. Pensò che venisse a baciarla, dimenticando la ball gag, ma se ne ricordò appena la sua lingua sfiorò un capezzolo e si fermò. Un soffio d’aria sulla pelle umida di saliva le diede un altro brivido e le fece drizzare il capezzolo. Glielo leccò e succhiò con la stessa passione dimostrata più in basso, mentre la mano continuava a fotterla con sempre più intensità e vigore. La condizione di costrizione le fece provare quello che, probabilmente, fu il suo primo orgasmo senza dolore. Lei non se ne accorse nemmeno, dell’assenza del dolore, presa com’era dalle sensazioni che il suo corpo cieco e muto le stava facendo provare. Il bacio che le diede sul collo, subito dopo essere venuta, quasi le fece cedere le gambe e si resse, con le mani dietro la schiena, al tavolo.
Le tolse le manette per sfilarle il vestito e gliele rimise, stavolta davanti. I sensi acuiti dall’assenza della vista le fecero notare che non aveva usato una chiave per aprirle: le manette non avevano serratura, erano manette da sesso, quelle che ci si può togliere da soli. Fece questa osservazione senza minimamente considerare che anche lei, se avesse voluto, avrebbe potuto liberarsi in qualsiasi momento. Toccò persino il perno di sgancio con un dito, per averne la conferma. Lui la fece girare e la piegò nuovamente sul tavolo, stavolta con le braccia allungate sopra la testa, e legò le manette alle corde che aveva preparato prima, così che fosse costretta a stare piegata. Le afferrò una caviglia e la costrinse a divaricare la gamba fino ad arrivare a quella del tavolo, alla quale la legò. Stessa cosa anche per l’altra. Se con le manette si sentiva legata, ora era immobilizzata a novanta gradi e con le gambe spalancate. Sempre muta e cieca. Ormai era eccitatissima e aspettava con ansia di essere scarnificata a frustate o di essere spanata in tutti i buchi e poi usata come sborratoio. La piuma che, dal ginocchio, saliva lungo l’interno coscia fino alla sua fica sbrodolante la fece trasalire: si era dimenticata anche di lei, totalmente rapita dagli stimoli sempre diversi che le stava facendo scoprire, ma la riconobbe subito. Il fremito, che aumentava man mano durante la salita, raggiunse il suo apice quando arrivò all’inguine. La piuma girava intorno alle grandi labbra, restandone sempre all’esterno, facendo affluire una gran quantità di sangue nei tessuti che diventavano sempre più turgidi e sensibili.
Stava smaniando dal desiderio, sudava, aveva la fica gonfia e la voglia di cazzo, ma non poteva dirglielo a causa della palla in bocca. La frustrazione provata inizialmente, quando istintivamente cercò di parlare la prima volta, era stata sostituita da un misto di curiosità e di sottomissione. Ma stavolta voleva implorarlo di scoparla, di fotterla, di trapanarla, di sfondarla, di sgangherarla. Era così arrapata, desiderava talmente tanto sentirsi piena di cazzo, aveva una tale voglia di venire, che non ebbe mai il desiderio di essere maltrattata. A dire il vero, era così infoiata che avrebbe voluto essere lei a prenderselo, a cavalcarlo secondo i suoi ritmi e i suoi bisogni, ad usarlo per masturbarsi. Ma non poteva far altro che aspettare e godere di ogni minima sensazione che lui le avrebbe regalato, il che non faceva altro che aumentare l’arrapamento. Non conosceva ciò che provano gli uomini quando non possono svuotarsi i testicoli, ma immaginò che fosse molto simile a quella che stava provando adesso. Voleva sentirsi toccata da qualcosa di più virile di una piuma, ma la lingua che la assaggiò dal clitoride fino all’ano, trovando una fica ancora più calda e umida di lei, fu comunque di suo gradimento. Finora tutta l’attenzione e l’eccitazione erano state indirizzate verso la vagina, che continuava a colare copiosamente, e la lingua che girava intorno al suo buchetto del culo la sorprese e le riportò alla mente l’esistenza del resto del corpo. Aveva smesso sia di pensare che di volere, si era completamente affidata a lui ed era solo incuriosita da come l’avrebbe condotta al piacere.
Continuando a leccarla fra le chiappe, lui infilò la mano distesa fra le cosce fino a trovarsi la vulva gonfia nel palmo e il dito medio sul clitoride, con l’indice e l’anulare all’esterno delle labbra e che le tenevano strette. In pochi secondi si ritrovò con la mano completamente bagnata e lei ebbe il suo secondo orgasmo prima ancora che lui iniziasse a muovere le dita. Stava ancora godendo, quando lui tolse la mano giusto il tempo di prendere un ovetto vibrante ed infilarglielo dentro fino in fondo. Lo accese subito quasi al massimo della velocità, portando il suo orgasmo in una condizione di permanenza. Una sensazione di calore sul sedere e la facilità con cui il dito le entrò nel culo unto le fecero apprezzare, ancora una volta, le accortezze che le riservava nonostante tutto. Quando il dito fu sostituito da un altro vibratore, capì il motivo del lubrificante. La scopò per un po’, per farla abituare gradualmente, poi lo accese e glielo lasciò dentro. Lei rimase così per un paio di lunghissimi minuti, legata, bendata, imbavagliata e con due vibratori accesi infilati dentro.
Mentre il suo mondo era ridotto a due buchi pieni, lui le prese il telefono e girò un video. In particolare, le fece molti primi piani: voleva farle vedere quando fosse bella mentre godeva senza soffrire, cosa evidente malgrado la mascherina e la gag ball. La fece trasalire quando le chiese, sottovoce, vicino l’orecchio, se avesse mai squirtato. Lei fece no con la testa, ma avrebbe voluto implorarlo di farle toccare il cielo. Fu come se lo avesse fatto, almeno a giudicare dal sorriso che riusciva a percepire nella sua voce mentre le spiegava come dovesse abbandonarsi alle sensazioni che le dava il corpo e assecondarle. Fu lei, a sorridere, mentre le diceva che doveva spingere se avesse sentito lo stimolo a fare la pipì.
Ma il sorriso fu interrotto dalla piuma che, mentre lui stava ancora parlando, ricominciò a sfiorare le cosce fino ad arrivare al clitoride. Il buio moltiplicava le sensazioni che provava e, al tempo stesso, la isolava dal resto del mondo. La piuma era solo una sensazione, non esisteva una mano che la muoveva né, tantomeno, un altro corpo oltre il suo. Persino l’aria che lui le soffiava delicatamente lungo tutta la colonna vertebrale era un’entità senza proprietario. Era stato tutto studiato con Valeria, dall’approccio violento con la presa per i capelli ed il resto, fino all’assenza del contatto diretto, passando per la fase intermedia del contatto non violento, per portarla gradualmente e senza che se ne rendesse conto a godere per se stessa e non in relazione agli altri. Per questo motivo, da quando le aveva messo i due vibratori aveva smesso di toccarla e prestò attenzione a non farlo anche quando prese quello che era nel culo per muoverlo dentro e fuori. Con il telecomando mandò l’ovetto al massimo, poi prese un vibratore clitorideo e lo sostituì alla piuma. Spense quello nel culo, sempre continuando a muoverlo dentro e fuori, e le chiese se fosse pronta. Il tono con cui lo disse, però, non era interrogativo. La stava avvisando, le dava il tempo. Lasciò dentro il vibratore e sfilò dalla fica l’ovetto ancora acceso mentre la incitava a spingere. Uno spruzzetto ne accompagnò l’uscita. Era qualcosa, ma si poteva fare di meglio. Il movimento della mano moltiplicò le vibrazioni sul clitoride fino a farle propagare all’intero corpo. Gli spasmi la fecero sollevare dal tavolo con il ventre, nel tentativo di allontanarsi dal vibratore che non smetteva di stimolare il clitoride. Si illuse per un istante di esserci riuscita, ma era solo una pausa necessaria per sostituirlo con uno di quelli doppi che agiscono anche sul punto g. Ora che ne aveva uno per mano poteva fotterla senza usare il motore. La stantuffò contemporaneamente avanti e dietro, i suoi gemiti erano diventati una costante ed erano talmente forti da far dimenticare che aveva una palla in bocca. All’improvviso, fermò entrambe le mani. Ed ora? Lo sentì vicino al piede, le stava slegando le gambe. Subito dopo slegò anche le manette dalle corde, ma non gliele tolse. La fece restare in piedi, leggermente piegata in avanti per poggiare le mani sul tavolo, le gambe sempre ben divaricate. Fece partire il vibratore doppio e ricominciò a darglielo fino in fondo, su e giù, su e giù, su e giù sempre più veloce. Alla fine si fermò, le diede uno schiaffetto su una chiappa, le disse:
“Godi, te lo sei meritato!”
E tolse il tappo alla sua fica che fiottò copiosamente. Lo fece altre tre volte, finché ne aveva ancora.
Quando stava per andarsene si accorse che lui, per tutto il tempo, era rimasto vestito e capì che si era dedicato unicamente al suo piacere, senza tutta quella violenza fisica e verbale che pensava fossero indispensabili per provare un orgasmo. Ne aveva provati così tanti che non riusciva a distinguerli l’uno dall’altro, senza essere stata usata o umiliata, e le era ovviamente piaciuto. Ora voleva esplorare tutti i modi di fare sesso, compreso fare l’amore, desiderava provare tutto il piacere che il suo corpo potesse darle, senza sensi di colpa o punizioni da ricevere. Voleva essere amata, voleva concedersi ma, soprattutto, voleva prendersi tutto quello che le spettava e che si era negata per troppo tempo. Negli incontri successivi, si fece condurre per mano alla scoperta della sua sessualità, finalmente liberata dall’oscurità che la opprimeva. Con l’aiuto di Valeria aveva educato il suo cuore ad amare e rispettare se stessa, adesso era il momento di insegnarlo anche al suo corpo.
Scritto inedito di clacclo. Riproduzione vietata.

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