Sogno #5 (Fiesta mariana)


Contiene scene di sesso esplicito, si sconsiglia la lettura ai minori.


“Mari’ sei ‘na fata!”

“Se, vabbuò, la fata turchina!”

Tendeva sempre a sminuirsi, quando riceveva un complimento, anche se si era fatta bella per lui ed era contenta che avesse apprezzato il risultato di una mattinata di phon, piastra, ceretta, smalto e la prova di tutti i vestiti dell’armadio.

Aveva bisogno di tutto quel lavoro? No, ovviamente. L’amore, l’attrazione, il desiderio erotico o quello che era, era nato in chat, dopo lunghe chiacchierate sempre più intime. Le loro menti si erano già fuse attraverso le parole, i corpi erano solo un complemento. Si sa che l’amore è cieco ma, nel loro caso, anche gli occhi avevano la loro parte senza bisogno di artifici, quindi il desiderio di fondere anche i complementi era più che naturale.

Si erano incontrati a metà strada, lui si era fatto prestare la casa di un amico al Circeo e lei aveva inventato un seminario in Toscana per sganciarsi da marito e progenie. Il programma era di passare tre giorni a tenersi per mano, guardarsi negli occhi, esplorare reciprocamente ogni millimetro di pelle e parlare, parlare, parlare…

Sembrava quasi che avessero più bisogno di sentirsi compresi, ascoltati, supportati, che di amore, eppure era quello che provavano l’uno per l’altra. Un amore impossibile, irrealizzabile. Avevano entrambi una vita completa e complessa, lontani fra loro, non gli restava che vivere la loro storia come una vacanza, una pausa dalla realtà del mondo intorno a loro. Non sapevano quanto sarebbe durata, ammesso che durasse dopo questo primo incontro, non potevano fare progetti insieme che avessero una scadenza più lunga di un fine settimana lungo, eppure non riuscivano a smettere di cercarsi.

Quando lei scese dalla sua macchina, il sole fece brillare il suo maglioncino azzurro e le sue labbra perfette. Non era più una ragazzina, aveva smesso di avere sensi di colpa per le decisioni che riguardavano solo lei. Il sorriso consapevole con cui lo guardò non lasciava adito a dubbi: nessun rimorso, nessuna indecisione. Voleva essere lì con lui e da nessuna altra parte!

Fecero finta di presentarsi, stringendosi la mano come primo contatto fisico. Non so se se ne resero conto, ma sembrava che si stessero dicendo tutto, in quella stretta di mano infinita. I loro occhi si sorridevano reciprocamente, i nasi scoprivano sconosciuti profumi amati da sempre, le bocche si desideravano, le mani continuavano a stringersi. Ci si può baciare meno di un minuto dopo il primo incontro? I fatti dicono di sì, almeno quella volta.

La sintonia che si era creata fra di loro, nei mesi passati a scambiarsi messaggi su messaggi, aveva reso tutto naturale, come se quella fosse la loro routine da tempo. Non c’era ombra di imbarazzo, ansia o un qualche tipo di insicurezza, sembravano fatti l’uno per l’altra da sempre.

“Adesso che ci siamo baciati, possiamo andare a cenare senza l’ansia di doverlo fare.”

“Apprezzo la citazione di Annie Hall e rilancio: ho fame anch’io, e non soltanto di te… Ma più di te!”

Quello che per lui fu un gesto spontaneo, un modo per sentirla sua, per farla sentire sua, quella mano che si poggiò sulla curva fra la fine della schiena e il sedere di Maria per avvicinarla a sé per darle il primo bacio fu, per lei, il passepartout per lo scrigno che aveva fra le gambe. Mentre parlava, si avvicinò a lui con uno sguardo maliziosamente divertito, con la mano sinistra dietro la sua nuca a tirarlo verso di sé e la destra che testava la sua potenza sessuale attraverso i pantaloni.

Non soddisfò il suo desiderio di mangiarle la bocca, si scostò lievemente scuotendo la testa in segno di negazione, lo prese per una mano e lo portò dentro casa. Appena lui si voltò dopo aver chiuso la porta, si inginocchiò fino ad averne la patta davanti gli occhi. Senza esitazione, sciolse la cinta e aprì i pantaloni, abbassandoli insieme ai boxer fino alle ginocchia, e rimase lì, con il suo cazzo ad un palmo dal viso.

Lui avrebbe voluto afferrarla per i capelli e sbatterglielo in bocca, ma c’era un che di piacevole nell’essere in sua balìa, nel non sapere cosa aspettarsi e quanto aspettarlo. Ogni suo respiro sul suo basso ventre gli provocava un brivido di piacere lungo la schiena. L’attesa sembrava infinita, finché lui non trovò la sua rivalsa: voleva vedere il suo desiderio crescere? Bene, ora l’avrebbe visto e sarebbe stata lei a desiderarlo!

Circondò il suo pene e i testicoli con le mani e le mostrò con fierezza la sua erezione, poi cominciò a masturbarsi a pochi millimetri dalla sua bocca. Ora era lei a volerlo dentro di sé.

Ma il gioco era appena iniziato. Mentre lui continuava a masturbarsi con lo sguardo fisso su di lei, si alzò e improvvisò uno strip-tease sensuale che terminò con lei che si avvicinava un capezzolo alla bocca per leccarlo, mentre due dita dell’altra mano scavavano avidamente fra le gambe.

Si stavano sfidando a chi avrebbe resistito di più senza saltare addosso all’altro. Vinse lei, ovviamente.

Continuando ad alimentare la sua erezione, si avvicinò al divano dove lei era seduta a gambe aperte, lo sguardo fisso nei suoi occhi ed una mano fra le gambe, fino ad arrivare con il suo membro a pochi centimetri dalla sua bocca. In realtà, si potrebbe dire che a vincere sia stato lui, perché fu lei quella che aprì le labbra e lo fece sparire al suo interno, fu sempre lei a muovere freneticamente la testa per scoparlo mentre lui rimaneva immobile e fu ancora lei che prese la sua mano e se la mise sul seno.

Il gioco, adesso, era finito. Era giunto il momento di dedicarsi al piacere di lei. Il seno nella mano era morbido, dolce, pieno. Troppo morbido, troppo tenero. Non era il momento di essere romantico né dolce. Le strizzò e le torse il capezzolo finché lei non gridò, per farle capire quanto la desiderava. Poi si piegò per baciarlo, giocarci con la lingua a disegnare ghirigori intorno all’areola, a mordicchiarlo sia con i denti che con le labbra, mentre la mano scese fino a posarsi su quella di lei e le dita a fare compagnia alle sue dita nella fica spalancata, fradicia, vorace. Lei tolse la sua mano per lasciargli libertà d’azione e la usò per tenere il seno ben offerto alla sua bocca.

Quando lei raggiunse il primo orgasmo, lui scese a bere il suo nettare, ad accarezzare dolcemente con la lingua la fica gonfia di piacere, poi, con maestria, salì su a baciarla con il pretesto di farle assaggiare il suo stesso sapore, così da darle il tempo di essere pronta a godere di nuovo. Infatti, dopo che le loro lingue si erano esplorate a vicenda ed avevano esplorato anche il viso intorno, il collo, le orecchie, di nuovo il collo, lui era sceso di nuovo per cominciare a baciargliela seriamente. La pausa era finita.

Scendendo con la lingua dal collo verso linguine, fece prima una deviazione sotto l’ascella, per gustare il sapore e l’odore del suo sudore, sensazioni che lo inebriarono arrivando dritte al cervello, poi scese lungo il seno, sollevandolo con una mano per baciarlo sotto, dove una linea rossa sottile ne demarcava la fine, per poi arrivare al capezzolo, girarci intorno, dargli un bacino e passare all’altro seno. Scese lungo la linea dei fianchi, anziché passare lungo la pancia, quasi dietro la schiena, mentre una mano le accarezzava la pancia e il monte di Venere. Poteva sentire i suoi brividi, quei mini sussulti che il suo ventre faceva quando la mano scendeva un po’ di più verso il clitoride. Ma non era la mano, che doveva arrivare, la mano passava da lì al centro coscia, avvicinandosi sempre un po’ di più, solo per aumentare il suo desiderio, per dilatare l’attesa del piacere agognato. Era la lingua che, passando dalla coscia, arrivò finalmente a dare sollievo alle grandi labbra. Ci stava ancora girando intorno, ma lei sapeva che l’attesa era finalmente finita. Il clitoride e le piccole labbra fremevano di piacere e desiderio allo stesso tempo, ma la lingua, finito il giro intorno a loro, scese fino a baciare anche la rosa dell’ano, ne provò la resistenza cercando di entrare, per quanto una lingua possa farlo, e mentre lui era impegnato più in basso, lei si accarezzava il clitoride per convincere l’ano a rilassarsi. Era un bel gioco di squadra.

Lui, però, non aveva ancora finito davanti, questi erano solo i preliminari dei preliminari. Sempre tenendole le gambe alzate, con la lingua fece il percorso a ritroso, usando il naso per aprirle le piccole labbra. Respirò a fondo, per sentire ogni più piccola sfumatura del suo afrore, poi si affacciò con la punta dentro la vagina e, dunque, risalì per lasciare spazio alla lingua.

La lingua. Bisognerebbe scrivere solo di lei. Se la sineddoche esprime la parte per il tutto, allora la sua lingua era la sineddoche fatta carne. C’era tutto lui, nel suo modo di usarla, la sua dolcezza, la sua determinazione, la sua bramosia, il suo amore. A ben vedere, infatti, la lingua era sì una parte del tutto, ma questo tutto era anche il viso intero, dal mento alla fronte. Il mento, che spingeva all’entrata della vagina mentre le labbra succhiavano il clitoride e la lingua ci disegnava dei cerchi intorno o gli dava dei colpetti isolati in cima, per darle quella scarica di piacere improvvisa. Oppure il naso, che percorreva all’interno delle piccole labbra tutta la loro lunghezza, riempiendole di lui. O la fronte che, mentre il naso saliva e scendeva, sfregava sul clitoride. E ancora, quando affondava tutta la faccia per bagnarla con il suo piacere. La scopava con la testa, in tutti i sensi: oltre il corpo, c’erano tutte le componenti care alla psicologia. Dominare con il proprio sesso la bocca di un’altra persona ha due aspetti, opposti fra loro, che possono alternarsi anche durante lo stesso rapporto. Da un lato, c’è la negazione della parola e, di conseguenza, la negazione dell’essere: sei solo l’oggetto del mio piacere, sono io ad avere il potere su di te. Questo capita prevalentemente quando il ricevente si trova più in basso e impossibilitato a muoversi, con tutte le sfumature del caso. Poi, invertendo le posizioni, si inverte anche la gerarchia. In questo caso, chi compie l’atto si prende cura del piacere altrui, ci si dedica con passione perché gode nel far godere. Il ricevente, dal canto suo, si offre liberamente, senza costrizioni, fiducioso di essere soddisfatto. Quando lui affondava tutto il suo viso fra le sue cosce, però, c’era qualcosa che solo lui faceva: con quel gesto cercava di farla entrare nella sua testa, le concedeva le chiavi di tutti i suoi pensieri più reconditi, tutta la sua dedizione e la sua devozione. Si stava marchiando a fuoco i neuroni con il suo nome, per non dimenticare più la felicità che provava in quel momento. Questo gli avrebbe permesso, più avanti, di ricordare perché fosse giusto lottare per superare i problemi insieme.

Probabilmente, caro lettore, se avesse pensato tutte queste cose gli sarebbe passata la fantasia, come temo sia successo a te. Ma lui aveva spento il cervello, l’odore della sua fica grondante di piacere lo aveva inebriato. Iniziò a girare intorno al clitoride con un dito, per poi baciarlo di nuovo mentre tre dita, per lungo la accarezzavano subito sotto. La voragine della vagina spalancata continuava ad essere ignorata, ma lei se ne accorse quando entrarono due dita che non erano mai state là. Cazzo se erano lunghe! E come le muoveva! Con la lingua sul clitoride e due dita che la scopavano con tale passione, non ci mise molto a lasciarsi andare ad un secondo orgasmo, riuscendo a bagnare anche le dita che erano rimaste fuori. Lui affondò nuovamente il viso in quel paradiso, prima di salire a baciarla.

Due orgasmi e ancora dovevano cominciare. Lei, ora, lo voleva! Anziché essere soddisfatta, la voglia di essere presa da lui, di sentirlo dentro, di essere sbattuta vigorosamente era andata crescendo: i preliminari avevano svolto il loro compito alla perfezione. Lo prese in bocca per ravvivare l’erezione, dapprima con dolcezza, teneramente, quasi in segno di gratitudine per i due orgasmi.

“Buttali via!”, pensò Maria, “Questi li abbiamo portati a casa, ora vediamo di farlo tornare duro che mica ha finito…”

La tenerezza, dando i suoi primi frutti, lasciò il posto alla lussuria. Sentirlo crescere nella sua bocca e diventare sempre più duro, la faceva sentire potente, la inorgogliva, le donava ulteriore sfrontatezza, meno sensuale e più erotica.

Quando era pronto, allungò la mano fra le sue gambe per ricambiare la preparazione, ma si rese conto che era già più che pronta ad accoglierlo. La fece mettere in ginocchio, con le mani strette alla spalliera del divano, guardò per qualche secondo lo spettacolo che lei gli offriva, allargò il sedere con le mani e affondò la sua faccia a baciare tutto quel ben di dio. Fu un bacio veloce, si soffermò solo un po’ più a lungo intorno al buco del culo per preparare il terreno, poi le diede una sculacciata ed iniziò a farglielo sentire fra le cosce, per inumidirlo, ma venne immediatamente risucchiato dentro. Si trovarono senza alcuna difficoltà, naturalmente, come se fossero su misura.

Il dolce su e giù partì lentamente, con lunghe soste perché lei lo sentisse bene dentro, come la riempiva, quanto era rigido. Poi ripartiva, sempre lentamente, facendolo quasi uscire per poi affondarlo con decisione sempre crescente fino a sentire le palle sbattere contro il clitoride. Anche la velocità aumentava e lei allungò una mano per masturbarsi allo stesso ritmo, mentre lui faceva colare la saliva sul suo culo e iniziava a massaggiare il buchetto. Il pollice non trovò molta resistenza, tanto che presto cedette il posto alle due dita accanto. Quando lei stava per venire, lui uscì completamente per tenerla ancora in sospeso.

Si inginocchiò per leccarle tutti gli umori e, con l’occasione, verificare il lavoro che le dita avevano fatto sul suo culo. Ci girò nuovamente intorno con la lingua, ci sputò sopra e, tenendolo saldamente in mano, passò la cappella sull’ano bagnato, glielo rifece sentire un’altra volta dentro la fica e, ora che era ben lubrificato, spinse lentamente per farsi un varco nel suo splendido culo, mentre lei si divaricava le chiappe con entrambe le mani.

Lui la teneva ferma per i fianchi, lei si teneva larga per le chiappe: si veniva, così, a creare un intreccio di braccia che la stringeva da entrambi i lati. Con il giusto taglio di luce, magari in bianco e nero, trovando l’angolo migliore per l’inquadratura si sarebbe potuta fare una di quelle foto artistiche che spopolano sui social più che nelle gallerie. C’era tutto, l’intreccio di vite, la collaborazione, la passione, la lussuria. Peccato che lei non possa vederla, pensò mentre continuava a farsi largo dentro di lei, una di quelle digressioni mentali perfette per ritardare l’orgasmo che, certe volte, era costretto ad inseguire per non cedere al piacere prima di lei.

L’orgasmo di Maria non tardò che qualche secondo, ora lui poteva lasciarsi andare. Le sarebbe volentieri venuto dentro, ma era corretto sentire lei cosa desiderasse. Prima di rispondere lo fece uscire, si girò e si fermò con il suo cazzo davanti la bocca, gli occhi fissi sui suoi, l’espressione più dolce e piena di gratitudine negli occhi. “Tu hai fatto abbastanza, oggi, adesso ci penso io.”, e il suo sorriso si riempì di lui…

Si addormentarono abbracciati sul divano, coperti solo dalle loro braccia intrecciate.

Il tempo del sesso ed il tempo dell’orologio si sa che non hanno la stessa velocità. Ore di orgasmi si risolvono in pochi minuti e notti d’amore durano un istante. Quel fine settimana durò tutta una vita, la vita che non avrebbero mai avuto. Continuarono a incontrarsi, quasi con regolarità, ma non avrebbero mai potuto dire nulla di più di quello che si erano detti i loro corpi in quel primo incontro.



Scritto inedito di clacclo. Riproduzione vietata.


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